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21 Set 2011
La penso esattamente così
Dopo la tragedia di Fukushima sono state avanzate le soluzioni più svariate: centrali nucleari “sicure” di terza o quarta generazione, rafforzamento del già consistente apparato idroelettrico e, naturalmente, valorizzazione delle cosiddette fonti di energia “alternative” o “pulite”, fotovoltaico, solare termico, eolico. Non esistono fonti di energia che, usate in modo massivo, non siano inquinanti, in un modo o nell’altro. Alcuni anni fa in una piattissima regione fra Olanda e Belgio, battuta dal vento, furono impiantate trecento enormi torri eoliche. Gli abitanti ne uscirono quasi pazzi. Per il rumore delle pale e perché erano abituati ad avere davanti agli occhi una pianura sconfinata che ora trovavano sbarrata da queste torri.
Un foglio di carta in una casa è un innocente foglio di carta, centomila fogli ci soffocano. Non c’è niente da fare.
Nessuno ha osato proporre la soluzione più ovvia: ridurre la produzione. Questo è il tabù dei tabù. Perché il nostro modello di sviluppo è basato sulla crescita. A qualunque costo. Il lettore avrà sentito dire mille volte, e non solo in questi tempi di crisi, da politici, di destra e di sinistra, da economisti, da sindacalisti: “Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione”. Se la guardate bene, a fondo, questa frase è folle. Perché vuol dire che noi non produciamo più per consumare, ma consumiamo per produrre. Che non è il meccanismo economico al nostro servizio, ma noi al suo.
La crescita non è un bene in sé. Anche il tumore è una crescita: di cellule impazzite. Il tumore dell’iperproduttività finirà per distruggere il corpo su cui è cresciuto. Non perché verranno a mancare le fonti di energia e le materie prime come nel 1972 ipotizzavano che sarebbe avvenuto entro il Duemila quelli del Club di Roma nel loro libro-documento "I limiti dello sviluppo" (magari ci avessero azzeccato, saremmo stati costretti ad autoridurci per tempo): la tecnologia è probabilmente in grado di risolvere questo problema. Ma per la ragione opposta. Un modello che si basa sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma non in natura, quando non potrà più crescere, perché non troverà più mercati dove collocare i propri prodotti, imploderà su se stesso. Sarà uno tsunami economico planetario.
Questo il futuro prevedibile. Ma basta il presente. La spietata competizione economica fra Stati – questa è, in estrema sintesi, la globalizzazione – passa attraverso il massacro delle popolazioni del Terzo e ora anche del Primo mondo. In termini di più lavoro, di più fatica, di stress, di angoscia, di un perenne pendolo fra nevrosi e depressione in una mancanza di equilibrio e di armonia che ha finito per coinvolgerci tutti. E gli stessi autori de "I limiti dello sviluppo", che non erano dei talebani, ma degli scienziati per di più americani, del mitico Mit, quindi dei positivisti, non ponevano la questione solo in termini tecnici, ma umanistici e concludendo il loro documento scrivevano: “È necessario che l’uomo analizzi dentro di sé gli scopi della propria attività e i valori che la ispirano, oltre che al mondo che si accinge a modificare, incessantemente, giacché il problema non è solo di stabilire se la specie umana potrà sopravvivere, ma anche, e soprattutto, se potrà farlo senza ridursi a un’esistenza indegna di essere vissuta”.
Ma non sono stati ascoltati. Corre, corre la “società del benessere”, col suo sole in fronte e le sue inattaccabili certezze, e, come un toro infuriato, non si rende nemmeno conto, mentre già gronda sangue, che, in ogni caso, al fondo non più tanto lontano dalla strada delle crescite esponenziali, l’aspetta la spada del matador.
Massimo Fini – “Il fatto quotidiano“
 
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postato da  Claudio Maffei alle  17:37 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



15 Set 2011
Contro il cinismo del siamo tutti uguali
L' altro giorno sono saltata sulla sedia ascoltando alla radio un intellettuale colto e d' avanguardia che diceva con voce calma e tranquilla: l' Italia è un Paese di ladri, tutti rubano. Ma anche tu sei italiano, avrei voluto dirgli, quindi ti dai del ladro da solo. Ma lui continuava imperterrito portando l' esempio dei grandi ladri che ci governano e che vengono denunciati per crimini miserabili di latrocinio quotidiano. Da questi passava ai piccoli ladri che tutti i giorni imbrogliano, mentono, emettono fatture false, rubano ai propri clienti e allo Stato. Il suo tono era rassegnato, come a dire: se tutti rubano il furto non è più una trasgressione ma una regola e come tale va accettata. Adeguiamoci alla norma e buonanotte. Tanto: mal comune, mezzo gaudio. Ma è davvero così? A me francamente sembra una logica aberrante, pericolosa e fatalistica, che tende al cinismo e all' immobilismo più bieco. Appena viene fuori la notizia di una grave trasgressione contro le regole dell' etica pubblica, subito si cerca un altro imbroglione dall' altra parte, per dimostrare che non esiste nel nostro Paese un comportamento lecito e leale. «Tanto siamo tutti uguali». L' onestà per costoro è un sogno infantile, le regole sono una cosa da gonzi, chi ha mangiato la foglia della saggezza sa che «da che mondo è mondo le cose vanno così». Chi si stupisce, chi pretende di applicare le regole, chi esige dai governanti un esempio di lealtà e incorruttibilità, è «un ridicolo buonista». Perché la realtà, dicono costoro, racconta che tutti imbrogliano, depredano, sottraggono, ingannano, dissimulano, rapinano. Il più forte contro il più debole, qualche volta in connivenza col più debole, felici che il male sia così diffuso da considerarlo la norma. Se veramente fosse così, dovremmo avere il coraggio di abolire per legge la verità, abolire l' onestà, abolire la solidarietà, abolire l' etica pubblica. Stabilire una volta per tutte che è civile sfruttare, mentire, rubare e imbrogliare. Chi non si adegua, magari chiuderlo in galera. In una società funzionante, ci si dovrebbe dispiacere nello scoprire ogni giorno un ladro, un truffatore, un predatore della Cosa pubblica. Invece ce ne rallegriamo perché così «siamo tutti nella stessa merda». Un cittadino onesto - questa è la logica - oltre a danneggiare se stesso danneggia gli altri, perché mette in evidenza chi traffica e imbroglia. Quindi dagli addosso: Cosa credi, che la verità sia un valore? Ma chi te l' ha detto? Non sai che la menzogna è la forma più alta di creatività personale? Non sai che imbrogliare il prossimo, ladroneggiare, vendere pan per focaccia sono le forme più diffuse dell' intelligenza globalizzata? Allora, sotto, e chi s' è visto s' è visto. È vero che spesso mancano i controlli, ma il primo controllo non dovrebbe venire dalla nostra coscienza? E cos' è la coscienza se non il sentimento dell' altro? E cos' è l' altro se non colui con cui si è stabilito un patto di convivenza civile, considerandolo nostro concittadino anziché un nemico o peggio un complice nel malaffare?
Dacia Maraini - Corsera
 
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postato da  Claudio Maffei alle  15:31 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



7 Set 2011
Ho capito bene?
Riceviamo e pubblichiamo da Federica Rossi:
"Dicono che tutti i giorni dobbiamo mangiare una mela per il ferro e una banana per il potassio. Anche un'arancia per la vitamina C e una tazza di the verde senza zucchero per prevenire il diabete. Tutti i giorni dobbiamo bere due litri d'acqua (sì, e poi espellerli, che richiede il doppio del tempo che hai perso per berli). Tutti i giorni bisogna mangiare uno yogurt per avere gli L.Casei Defensis', che nessuno sa bene che cosa cavolo sono però sembra che se non ti ingoi per lo meno un milione e mezzo di questi bacilli (?) tutti i giorni inizi a vedere sfocato. Ogni giorno un'aspirina, per prevenire l'infarto, e un bicchiere di vino rosso, sempre contro l'infarto ed un altro di bianco, per il sistema nervoso, ed uno di birra, che già non mi ricordo per che cosa era. Tutti i giorni bisogna mangiare fibra, molta, moltissima fibra, finché riesci a "espellere" un maglione. Si devono fare tra i 4 e 6 pasti quotidiani, leggeri, senza dimenticare di masticare 100 volte ogni boccone. Facendo i calcoli, solo per mangiare se ne vanno 5 ore. Ah, e dopo ogni pasto bisogna lavarsi i denti senza dimenticarti di usare il filo interdentale, massaggiare le gengive, il risciacquo... Bisogna dormire otto ore e lavorare altre otto, più le 5 necessarie per mangiare, 21. Te ne rimangono 3, sempre che non ci sia traffico.
Adesso vi lascio, perché tra lo yogurt, la mela, la birra, il primo litro d'acqua e il terzo pasto con fibra della giornata, già non so più cosa sto facendo... però devo andare urgentemente al bagno. E ne approfitto per lavarmi i denti....
 
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postato da  Claudio Maffei alle  19:25 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



23 Lug 2011
Stai come vuoi torna in autunno
E’ finita la tournée! Quest’anno, infatti, come molti sanno, ho girato l’Italia per presentare il mio nuovo libro: Stai come vuoi. Manuale di equilibrio emotivo. E’ stata un’ottima esperienza. Ho conosciuto un sacco di gente, sono stato ospite di Rotary, Lions, sedi di Confindustria, Municipi e altri enti e organizzazioni oltre, naturalmente, ad aziende clienti e no.
La cosa più “divertente” è stata la varietà delle persone incontrate oltre che delle metodologie usate per la presentazione. Siamo passati da sale di 200 persone a teatro, con musiche, filmati e slide, a chiacchierate per pochi intimi totalmente a braccio.
Abbiamo cominciato a ROMA il 24 febbraio presso la Libreria Assaggi, serata freddissima. Poca gente, gli organizzatori hanno dato la colpa al clima, inusuale per la capitale. Io credo anche che le grandi città, come Roma o Milano siano un po’ inflazionate di questi eventi. Il 2 marzo a BARI, in una società privata le persone erano di più e molto attente. Il 5 marzo a BERGAMO presso gli artigiani aderenti a Confindustria una buona platea. A loro servirebbero corsi su corsi!!! Il 9 marzo, giorno dedicato alla donna, in REGIONE LOMBARDIA. Bellissimo! Platea tutta al femminile, il pubblico che amo di più. Il 14 marzo a PORDENONE, in un consorzio di ottici. Grande platea “amica”. Il 15 marzo a VALDAGNO, sede del Comune. Gremitissimo e grande successo! Mi sono proprio divertito. Il 5 aprile a TRENTO con i medici. Un grazie alla mia amica Rossella Siliotto grande organizzatrice. Il 7 aprile a TRIESTE, in Confindustria, hanno fatto proprio le cose in grande! Bravi! Il 12 aprile a MILANO a Mynetworkafe pochi ma buoni. Il 13 aprile al Palazzo delle Stelline organizzato da Internet Saloon. Un pienone. Il 19 aprile a BRESCIA per BresciaIn il club affiliato a LinkedIn e il 22 aprile a GORIZIA organizzato da “Il libro delle 18 e 03”. L’11 maggio di nuovo a GORIZIA. Organizzato dal Soroptimist, dalla Camera di Commercio e dai Comitati per l’imprenditoria femminile. Altra sala gremita di sole donne. Il 31 maggio a MONOPOLI serata divertentissima all’aperto. Praticamente un comizio in piazza. Con il Sindaco e l’Assessore alla cultura. Il primo giugno a BARI in Confindustria
Un bel pienone. Un grazie a Lilli Totaro e Decio Chiarito. Sabato 4 giugno 200 persone al Castello di Modanella fra AREZZO e SIENA per i Lions. Organizzazione perfetta! L’8 giugno a LONGARONE in comune, su iniziativa del mio amico sindaco Roberto Padrin. Sessanta, sessantacinque persone, incredibile! Venerdì 10 giugno al Rotary di NOVI LIGURE in un ristorante. Martedì 14 giugno ancora al Rotary, ma a GORIZIA. E’ incredibile come risponde questa città. Ho fatto tre presentazioni in tre mesi. Infine, venerdì 1 luglio alla Borsa del turismo congressuale (BTC) a RIMINI, fantastica platea di gente entusiasta. Beh, nulla da dire, un bel tour. Adesso riprenderà in autunno. Mi piace incontrare le persone. Discutere con loro, capire i loro problemi. Ci tengo a precisare che io non insegno niente e non ho niente a che vedere con guru o maestri di vita. Sono solo un amico che ha fatto un percorso di vita particolare e ama condividerlo per dare una mano, in ogni istante a ogni persona che incontro. Perché ho imparato che, chi ha buone relazioni con se stesso e con gli altri, vive meglio ed è felice.

P. S. Chi ha voglia di organizzare una presentazione mi scriva: claudiomaffei@comuniconline.it
 
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postato da  Claudio Maffei alle  10:02 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



12 Lug 2011
Le parole sostituiscono le pillole
Comincia a prendere piede una nuova forma di terapia del linguaggio : curare attraverso la parola. Gli studi dimostrano che le parole, i ritmi della lingua e i poemi agiscono in modo terapeutico su corpo, anima e spirito.
U. Senn di Dörflingen racconta di quando aveva perso la voce, divenuta improvvisamente così roca da non poter più parlare. Dopo che per un mese intero non riusciva che a bisbigliare, si rivolse all’otorino che le diagnosticò dei noduli alle corde vocali. Questo tipo di affezione richiede spesso l’intervento chirurgico, ma questa signora cercò aiuto nella terapia della parola. Lo scienziato e arteterapeuta della parola D. von Bonin dell’università di Berna afferma, che molti problemi di salute come la pressione alta, le malattie infettive, l’anemia, l’epilessia, le allergie e le emicranie si esprimono spesso anche nel linguaggio, in un parlare impreciso, bloccato, stressato, troppo sonoro e una cattiva respirazione. Viceversa la parola agisce direttamente su corpo e psiche di chi parla. Questo ramo della terapia lavora con diversi elementi: le vocali e le consonanti, il ritmo del verso, la costruzione dei brani e le immagini in essi contenute. Gli esercizi che la paziente eseguì consistevano soprattutto in frasi come degli scioglilingua, con la vocale “e”. Li ripeteva giornalmente almeno una cinquantina di volte. Nell’arco di otto settimane aveva recuperato la voce ed era sparita la raucedine. Non aveva avuto bisogno di farmaci. Da allora sono passati tre anni e quella signora non ha più avuto problemi vocali. Questo tipo di terapia con la parola è valida anche per i bambini, con cui si usano i giochi con le parole, le filastrocche, i versi e le poesie ritmate. Si adatta anche con i bambini disabili. È il caso di un ragazzo di 14 anni di Schaffausen, affetto dalla sindrome di Down. Da tre anni è curato con la terapia della parola. Durante la seduta impara ad ascoltare e ripetere esattamente parole e versi. Tutto questo in modo ludico, giocando con il suo corpo e con i ritmi e i suoni del linguaggio.L’impulso ad esplorare la forza curativa della parola fu dato da R. Steiner, fondatore dell’antroposofia. Scienziati, medici e terapeuti hanno proseguito nello sviluppo di una metodologia.La dott.ssa R. Bösch di Schaffhausen afferma come la terapia con la parola agisca sui disturbi legati alla respirazione, in quanto gran parte delle persone respira in modo errato. Infezioni delle alte vie respiratorie, dei bronchi, disturbi del sonno, asma e balbuzie sono molto sviluppate. La terapia della parola sostiene i processi di guarigione integrandosi alle cure mediche, ad esempio utilizzando i ritmi della poetica classica e in particolare, la recitazione di esametri. Sembra che il ritmo in essi contenuto influenzi la circolazione del sangue, favorendo rilassamento e armonizzazione del battito cardiaco (cfr. D. von Bonin, università di Berna).La terapia con la parola viene utilizzata per la depressione e le nevrosi e anche nei disturbi psichici più gravi come le psicosi.Nel 2002 lo scienziato inglese R. Philipp presso l’ospedale Royal-Infirmary di Bristol ha rilevato l’importanza della poesia nella cura contro la depressione. Philipp ha effettuato uno studio su 196 pazienti con problemi psichici facendo leggere loro delle poesie. I due terzi si sentivano rilassati e tranquilli quando leggevano poesie o ascoltavano conferenze sulla poesia. Alcuni hanno anche smesso l’uso degli antidepressivi. Philipp sostiene che la poesia aiuta le persone a mettere ordine nella loro vita interiore e a parlare dei loro problemi. Alcuni pazienti raccontano di come si siano sentiti più stabili e desti interiormente dopo aver svolto gli esercizi e aver recitato singole frasi o poesie con un determinato ritmo. La sicurezza nella propria lingua permette una migliore affermazione di sé anche nella quotidianità.
www.gesundheitstipp.ch
 
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postato da  Claudio Maffei alle  11:57 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



23 Giu 2011
Costretti a giocare in difesa

Non si vive di sola pizza e sole. Né di sola mamma. Famiglia e qualità della vita, a lungo considerati gli elementi caratterizzanti della nostra società, non sono più sufficienti a rendere felici i nostri giovani. L’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes ci dice che il 40% degli italiani tra i 25 e i 34 anni considera una sfortuna vivere in Italia, e il 51% si trasferirebbe volentieri all’estero. Quando oltre la metà della popolazione di una Paese nella fascia d’età più attiva e produttiva sogna di scappare altrove, c’è qualcosa che non va. E dovrebbe scattare più di un campanello di allarme.

Certamente la crisi economica e le difficoltà occupazionali giocano un ruolo importante nell’alimentare questo malcontento. Tuttavia non è solo una questione legata all’occupazione. D’altronde la crisi economica ha colpito tutti gli altri Paesi industrializzati, anche quelli che gli italiani indicano come mete privilegiate per una loro eventuale emigrazione (Francia, Stati Uniti e Spagna, quest’ultima con un tasso di disoccupazione doppio del nostro). Non solo: le aree del nostro Paese in cui questo desiderio di fuga è più alto sono tra quelle in cui l’incidenza della disoccupazione è più bassa (Centro e Nord). Appare quindi evidente che, oltre alle difficoltà economiche, in Italia cominciano a scricchiolare anche altre dimensioni, e che per le nuove generazioni non basta la vicinanza alla famiglia né il nostro bel territorio a sentirsi fortunati di stare in Italia.

Per chi l’Italia l’ha già abbandonata da anni o per chi è abituato a misurarsi con contesti stranieri, come fanno ormai quotidianamente milioni di italiani tra i venti e i quaranta anni, questi dati non rappresentano una gran sorpresa. Innanzitutto perché sanno che la qualità della vita non è una nostra esclusiva. In fondo il sole c’è anche in Costa Azzurra o in Costa Brava, e la pizza o il formaggio buono si trovano anche altrove, anche quando invece di chiamarsi Parmigiano si chiama manchego o camembert. Ma, soprattutto, perché sanno che la qualità della vita non è fatta solo di buon mangiare e visite familiari, per quanto importanti. La vita, quella vera, è fatta anche di ambizioni, di sogni, di opportunità di crescita, di cambiamento. È fatta di persone e mondi diversi da noi con cui abbiamo necessità e voglia di misurarci, soprattutto a una certa età. E’ fatta insomma di tutte quelle cose a cui l’Italia ha sistematicamente chiuso le porte ormai da troppi anni. Negli ultimi vent’anni l’Italia si è mostrata terribilmente aggrappata all’esistente, terrorizzata da tutto quello che accadeva fuori, costantemente tesa a tentare di proteggersi da tutti gli attacchi dei «nemici» come si fa nei videogame, seguendo una metafora cara al nostro ministro dell’Economia. Un’Italia che prima era spaventata dalle tecnologie e dalla concorrenza degli altri Paesi industrializzati come Germania o Stati Uniti, poi dalla manifattura a basso costo dei Paesi emergenti come Cina e India, e oggi semplicemente dalla fame e dalla disperazione dei Paesi africani come la Libia, la Tunisia o la Somalia, i cui profughi potrebbero rubarci anche i posti da raccoglitori di pomodori. Un’Italia abituata ormai a giocare in difesa, e che nonostante le sfide sempre più difficili non cambia mai squadra, ma ricicla continuamente i soliti giocatori. Basta pensare alle tensioni e agli accordi tra Bossi e Berlusconi di questi giorni, per avere la sensazione di rivivere un film già visto molti, troppi anni fa. Un arco temporale di 15 o 20 anni può sembrare un’inezia a chi calca la scena politica da 30 o 40 anni, ma rappresenta l’unico orizzonte temporale di cui hanno memoria gli italiani che oggi hanno 25 anni. E per questi giovani l’Italia è il Paese in cui non cambia mai nulla e si parla sempre delle stesse cose (senza farle): dal ponte sullo Stretto alla Salerno-Reggio Calabria, dalla riforma fiscale a quella dello Stato. Il Paese in cui, per riprendere la metafora dei videogame amata da Tremonti, i politici giocano ancora al Pac-man, mentre il resto del mondo funziona con la Wii. E’ guardando a questa Italia che si capiscono le ragioni di quei giovani che se ne vorrebbero andare.

Sanno bene che altrove troveranno la stessa crisi, ma sperano almeno di poter respirare un po’ di aria diversa, di veder muoversi qualcosa, di potersi misurare con un mondo che gira invece di stare fermo. Chiaramente non tutta l’Italia è così asfittica, ci sono realtà che pur con fatica provano a muoversi suscitando anche begli entusiasmi. Ma la sensazione che ancora prevale è di un immobilismo che sta facendo la muffa. Gli unici a non sentirne la puzza sono quelli che ci sono seduti sopra.
Irene Tinagli La Stampa
 
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postato da  Claudio Maffei alle  12:35 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



12 Giu 2011
La sera la piazza diventa ipnotica
La prima volta che mi sono trovata a riordinare le idee e a mettere giù una traccia per spiegare in aula i sistemi rappresentazionali, ho cercato nella mia mente uno spunto efficace per poter rendere il concetto in maniera immediata e diretta (visibile, tangibile, percepibile, appunto…).
E di colpo mi si è imposto, forte e deciso, il ricordo di quello che io ritengo il luogo multisensoriale per eccellenza. La piazza di Marrakech, la famosa Place Jeem el Fnaa, il cuore, l’anima della città vecchia che, alla sera, diventa teatro di mille suggestioni.
Era perfetta per lo scopo.
E allora l’idea di cimentarmi con una sua descrizione rappresentazionale ha preso forma.

Come ho proceduto?
Ho provato a fare questo esercizio in due modi differenti, o meglio, in due fasi successive.
Nella prima, mi sono limitata a seguire la logica reader focused, quindi ho pensato di scrivere per un visivo, un auditivo e così via. Mi sono concentrata cioè sull’immaginare l’effetto che quelle espressioni avrebbero potuto avere sul lettore, in relazione al suo sistema rappresentazionale dominante.
Il risultato era però piuttosto fiacco. Si poteva fare di meglio.

E allora ecco la seconda fase, quella nella quale ho provato a forzare il mio canale sensoriale predominante, cercando di vedere come un visivo, di ascoltare come un auditivo e di sentire come un cenestesico.

Può sembrare apparentemente qualcosa di molto simile, ma in realtà la differenza è immensa. Un conto è andare a pescare nella propria mente le espressioni, i verbi, gli aggettivi che sai che fanno breccia facilmente in un determinato canale sensoriale. Tutt’altra cosa è immaginare di scoprire quel luogo stando dentro all’osservare di un visivo, al sentire di un auditivo, al respirare di un cenestesico.

Entrambe le fasi sono state determinanti. La prima ha implicato una lucida analisi del rapporto fra mondo linguistico e percezioni sensoriali, per arrivare ad avere un primo quadro, anche se un po’ sbiadito. La seconda ha significato metterci dentro le emozioni, far scendere in campo anche l’emisfero destro, seppur soltanto a supporto di quello sinistro (che ha comunque dovuto governare), e da lì l’arricchimento del quadro iniziale con immagini-suoni-odori vissuti, che lo hanno reso più vivido e pulsante.

Questo esercizio, che ha rappresentato per me uno stimolo di analisi e di consapevolezza linguistica, credo possa essere uno spunto efficace, sia applicato come allenamento ad altre descrizioni (del resto Queuneau nei suoi Esercizi di stile va ben oltre ai sistemi rappresentazionali), sia come strumento per verificare una volta di più l’effetto delle parole sulle nostre percezioni.

Bene, non ci resta quindi che addentrarci nella piazza….

E allora eccola qua, la nostra piazza (o forse dovremmo dire le nostre tre piazze..)
La prima, una piazza tutta immagini e colori, dedicata ai visivi.
Un’altra, fatta di suoni e melodie, per la gioia degli auditivi.
E l’ultima, pensata per i cenestesici, carica di profumi e sensazioni.

V
La sera la piazza si accende di immagini magiche.
Una nuvola di fumo la avvolge e ogni figura perde i suoi contorni, diventa evanescente. Nell’aria immobile, le fronde delle palme bruciate dal sole si stagliano sul fondo scuro del cielo senza luna, penzolando indolenti, come braccia di una ballerina stanca.
In mezzo agli incantatori di serpenti, che con i loro flauti disegnano nell’aria affascinanti ricami, il bagliore delle fiaccole illumina due occhi scuri, bistrati di nero. Occhi misteriosi e luccicanti, occhi curiosi, che si mostrano un istante, per tornare subito dopo a inabissarsi nella spessa oscurità di un velo rosso cupo.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, nei tuoi occhi, lo scintillio di quello sguardo.

A
La sera la piazza eccheggia di melodie ipnotiche.
Un universo sonoro di musiche e rumori amalgamati nella spessa cortina di fumo che attutisce ogni suono. Gli incantatori di serpenti, che rincorrono le note con i loro flauti penetranti, accompagnano come un sottofondo le voci profonde dei narratori di storie, che avvolgono chi li ascolta nel ritmo cadenzato delle loro parole. E, in mezzo al tintinnio dei campanelli dei venditori d’acqua, dal minareto si leva la nenia del muetzin, che scandisce il momento della preghiera.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, nella tua mente, l’eco di quei suoni.

K
La sera la piazza si riempie di profumi.
Fragranze e aromi talmente intensi da rendere l’atmosfera palpabile.
Il fumo denso che si sprigiona dai kebab scatena la voglia prepotente di assaporare quel cibo sconosciuto. Tutto lì intorno porta con sé la promessa di invitanti piaceri. Sei lì in mezzo, schiacciato da mille corpi sudati, e respiri con avidità quell’aria arroventata dalla calura del tramonto, carica di spezie e umanità. E quell’aria ti ubriaca l’anima e ti accende i sensi.
In quell’assetata arsura, la freschezza della coppa di rame che ti porge il vecchio venditore d’acqua ti scende dentro come un balsamo.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, sulla tua pelle, la carezza di quelle sensazioni.

(se l’esercizio è stato ben realizzato, ora il lettore dovrebbe essere lì ad arrovellarsi per capire quale sia il sistema rappresentazionale dell’autore…)

Bene, arrivati a questo punto, l’esercizio non può fermarsi qui. Ora si tratta di dimostrare altrettanto concretamente come e quanto una scrittura che contenga le chiavi di accesso a tutti i sistemi rappresentazioni possa rendere più efficace il linguaggio.
Ed ecco quindi una descrizione sinestesica, nella quale vanno a confluire le tre descrizioni iniziali, arricchendone la portata evocativa.


La sera la piazza diventa ipnotica.
Una nuvola di fumo carico di odori la avvolge, attutendo i suoni e sfumando i contorni delle immagini.
Lontana, l’eco della nenia del muetzin annuncia l’inizio della notte.
Il bagliore delle fiaccole illumina misteriosi occhi scuri, che si mostrano per un istante, per poi tornare rapidi a nascondersi dietro ai veli colorati.
Carni speziate sfrigolano sui kebab, e diffondono un profumo invitante, mentre il tintinnio dei campanelli del venditore d’acqua scivola dentro di te ancor prima che la freschezza della coppa di rame raggiunga le tue mani.
L’incantatore di serpenti intesse col suo flauto ondulate melodie che accompagnano, come un sottofondo, le voci profonde dei narratori di storie, che incatenano chi li ascolta nel ritmo cadenzato delle loro parole.

E tu sei lì, schiacciato in mezzo a quei corpi accaldati, stordito dal frastuono vitale e accecato dall’esplosione di colori che ti circonda. Sei lì, e respiri con avidità quell’aria arroventata dalla calura del tramonto, carica di spezie e umanità.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, forse per sempre, lo scintillio di quegli sguardi, l’eco di quei suoni, la carezza di quelle sensazioni.

Bene, se queste poche righe avranno esercitato su chi ancora quella piazza non la conosce un richiamo potente e, perché no, anche un po’ di nostalgia in coloro che quella piazza l’hanno già vissuta, allora significherà che abbiamo sperimentato la potenza della scrittura sinestesica.
Maddalena Bertello per palestradellascrittura.it
 
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6 Giu 2011
Stai come vuoi a Longarone
LONGARONE. Si conclude la stagione degli «incontri d'eccezione» del Gruppo Giovani Longarone e dell'amministrazione comunale, con il professor Claudio Maffei mercoledì alle 20.30 in sala Popoli d'Europa a Longarone. Maffei è un docente universitario, scrittore, formatore e consulente della comunicazione, ha collaborato con numerose aziende e personalità nel campo dell'industria, della politica e del turismo, verrà a Longarone per presentare il suo libro «Stai come vuoi, manuale di equilibrio emotivo», tenendo un breve corso su autostima e relazioni personali e interpersonali. L'ingresso è gratuito e al termine seguirà rinfresco offerto dai ragazzi del gruppo giovani. (edc) 6 giugno 2011
 
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24 Mag 2011
Una vecchia leggenda
Una vecchia leggenda Indù racconta che vi fu un tempo in cui tutti gli uomini erano dei. Essi però abusarono talmente della loro divinità, che Brahma Signore degli dei, decise di privarli del potere divino e decise di nasconderlo in un posto, dove fosse impossibile trovarlo. Il grande problema fu dunque quello di trovare un nascondiglio. Quando gli dei minori furono riuniti a consiglio per risolvere questo dilemma, essi proposero la cosa seguente: "Sotterriamo la divinità dell'uomo nella terra". Brahma tuttavia rispose: '"No, non basta perché l'uomo scaverà e la ritroverà". Gli dei allora replicarono: '"In tal caso, gettiamo la divinità nel più profondo degli oceani". E di nuovo Brahma rispose '"No, perché prima o poi l'uomo esplorerà le cavità di tutti gli oceani e sicuramente un giorno la ritroverà e la riporterà in superficie". Gli dei minori conclusero allora: '"Non sappiamo dove nasconderla, perché non sembra esistere sulla terra o in mare luogo alcuno che l'uomo non possa una volta raggiungere". E fu così che Brahma disse: '"Ecco ciò che faremo della divinità dell'uomo. La nasconderemo nel suo io più profondo e segreto, perché è il solo posto, dove non gli verrà mai in mente di cercarla". A partire da quel tempo l'uomo ha compiuto il periplo della terra, ha esplorato, scalato montagne, scavato la terra e si è immerso nei mari alla ricerca di qualcosa che si trova dentro di lui…
 
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16 Mag 2011
La manomissione delle parole
Il rapporto fra ricchezza delle parole e ricchezza di possibilità (e dunque di democrazia) è dimostrato anche dalla ricerca scientifica, medica e criminologica: i ragazzi più violenti possiedono strumenti linguistici scarsi e inefficaci, sul piano del lessico, della grammatica e della sintassi.
Non sono capaci di gestire una conversazione, non riescono a modulare lo stile della comunicazione - il tono, il lessico, l’andamento – in base agli interlocutori e al contesto, non fanno uso dell’ironia e della metafora. Non sanno sentire, non sanno nominare le proprie emozioni. Spesso, non sanno raccontare storie. Mancano della necessaria coerenza logica, non hanno abilità narrative: una carenza che può produrre conseguenze tragiche nel rapporto con l’autorità, quando è indispensabile raccontare, descrivere, dare conto delle ragioni, della successione, della dinamica di un evento.
La povertà della comunicazione, insomma, si traduce in povertà dell’intelligenza, in doloroso soffocamento delle emozioni.
Questo vale a tutti i livelli della gerarchia sociale, ma soprattutto ai gradi più bassi. Quando, per ragioni sociali, economiche, familiari, non si dispone di adeguati strumenti linguistici; quando le parole fanno paura, e più di tutte proprio le parole che dicono la paura, la fragilità, la differenza, la tristezza; quando manca la capacità di nominare le cose e le emozioni, manca un meccanismo fondamentale di controllo sulla realtà e su se stessi.
La violenza incontrollata e uno degli esiti possibili, se non probabili, di questa carenza.
I ragazzi sprovvisti delle parole per dire i loro sentimenti di tristezza, di rabbia, di frustrazione hanno un solo modo per liberarli e liberarsi di sofferenze a volte insopportabili: la violenza fisica.
Chi non ha nomi per la sofferenza la agisce, la esprime volgendola in violenza, con conseguenze spesso tragiche.
La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio.
Un libro da leggere!
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  11:45 | aggiungi commento | commenti presenti [0]





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