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15 Feb 2010
Ma sappiamo davvero dove stiamo andando?
“Siamo nell'era dell'homo zappiens”, recitava un articolo apparso qualche tempo fa sul Corriere della Sera. I ragazzi “nati digitali” sviluppano abilità intellettuali e biologiche diverse da quelle dei propri genitori. Le tecnologie ricablano il cervello umano e disegnano un'altra specie.

Il capo di Google, Eric Schmidt, è affascinato dalla brillantezza e dalle capacità dei ragazzi della Web Generation. Tuttavia, lo stesso Schmidt finisce con l'affermare che gli stessi giovani talentati leggono di meno e ciò finirà per incidere sui loro meccanismi di apprendimento.

In realtà, neuroscienziati e studiosi della Rete stanno cercando di misurare l'impatto che le tecnologie digitali hanno sulla mente umana. Il termine zappiens, citato nell'articolo, allude all'abitudine acquisita di saltare da un argomento all'altro col telecomando o col click di un mouse. I giovani infatti si destreggiano nell'utilizzare i motori di ricerca e sono abilissimi nell'uso del copia e incolla, inoltre sono sempre più capaci di agire in multitasking. Queste diverse abilità sono già monitorabili attraverso la risonanza magnetica , che evidenzia lievi modificazioni della corteccia cerebrale nei lobi frontali.

Le nuove generazioni condividono, nei social network, filmati, musica, immagini, le loro foto, ma anche i loro sentimenti e le loro emozioni, e spesso li si accusa di coltivare relazioni alienanti, in quanto virtuali.

Una cosa è certa. La scuola è molto distante dal mondo giovanile, continua a usare un approccio alla conoscenza che nulla ha a che fare col cambiamento in atto. Impiega un metodo analitico e sequenziale, laddove la comunicazione di oggi ricorre sempre di più a schemi e principi diametralmente opposti.

Anche il filosofo Umberto Galimberti sostiene che nessuna riforma sarà in grado di migliorare autenticamente il nostro sistema scolastico, se non si terrà conto della rapida trasformazione che si sta verificando. Inoltre, il cambiamento, che è comune ad ogni epoca, ha finora seguito ritmi più lenti, mentre adesso viaggia a una velocità ben più elevata rispetto a qualche decennio fa. Colpa o merito del progresso tecnologico.

La storia umana ha vissuto tre fasi importanti, come illustrato nel bellissimo libro di Raffaele Simone, “La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo”.

La prima fase coincise con l'invenzione della scrittura, che permise di dare stabilità alle conoscenze, le quali costituiscono un patrimonio fragile, delicato, sempre esposto al rischio di perdersi. Venti secoli più tardi, la stampa permise la nascita del libro, un bene a costo relativamente basso e alla portata di tutti e, negli ultimi trent'anni, siamo entrati nella terza fase, dove le cose che sappiamo, dalle più elementari alle più complesse, le dobbiamo principalmente al fatto di averle viste in televisione, al cinema, sul nostro computer. Galimberti la definisce “rivoluzione dell'homo videns”.

Oggi, la scuola, che segue schemi e metodi del passato, è sempre meno attrattiva per gli studenti. Non è più il luogo dove si movimenta la conoscenza, ma quello in cui alcune conoscenze si sedimentano e staticizzano. Si rivolge ad una intelligenza di tipo sequenziale, la stessa su cui poggia quasi tutto il patrimonio di conoscenze dell'uomo occidentale. Le nuove generazioni, al contrario, fanno sempre più uso dell'intelligenza simultanea , più consona all'immagine che all'alfabeto.
In una intervista a Donatella Palazzoli, responsabile della formazione e del placement all'Accademia di Comunicazione di Milano, si legge che le professioni della comunicazione, tanto ambite oggi fra i giovani, in realtà sono fra le meno conosciute. Non tutti sanno, infatti, quale impegno richiedano nella pratica, quanti siano gli ostacoli e quante le difficoltà.

Del resto, l'Università, in Italia, non prepara al lavoro, ma fornisce piuttosto un'ampia base culturale. Così, quando un giovane si laurea, crede di essere pronto per la professione ma, in realtà, non è così. D'altra parte, le aziende e le agenzie di comunicazione, ma non solo, richiedono sempre di più giovani competenti, operativi da subito. Una riflessione che imporrebbe un radicale ripensamento dell'intero sistema educativo nel nostro Paese.

William Halal, professore di Management alla George Washington University, nell'intervista intitolata “La conoscenza: risorsa infinita per ricreare il mondo”, già nel 1998, preannunciava un importante cambiamento per i prossimi decenni. La popolazione - diceva - nel 2020, è destinata ad aumentare incredibilmente e, con l'aumento della popolazione, aumenterà anche lo spettro dei problemi con cui ci dovremo confrontare.

Molti pensano che il progresso tecnologico finirà per snaturarci, per renderci sempre più simili a robot alienati. Così facendo, prospettano scenari fantascientifici di decadenza della razza umana. Viceversa, ciò che sembra più probabile è un utilizzo sempre più esteso delle tecnologie, allo scopo di velocizzare ulteriormente le operazioni e le interazioni: un diverso modo di relazionarsi gli uni agli altri, ma non per questo meno efficace, non meno reale.

Al di là delle previsioni catastrofiche di chi si ostina a frenare qualunque tipo di cambiamento, Halal prevede un'opportunità, nel futuro, per accedere più facilmente all'informazione e per superare le barriere concettuali che si oppongono allo sviluppo. Ci saranno importanti mutamenti nelle organizzazioni e tali mutamenti richiederanno maggiore impegno, maggiore consapevolezza e un più forte senso di responsabilità. L'umanità dovrà dimostrarsi all'altezza della situazione, dovrà essere capace, cioè, di raccogliere la sfida e sforzarsi di creare una civiltà planetaria matura, che funzioni.
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  10:09 | aggiungi commento | commenti presenti [1]



25 Gen 2010
Ricomincio da tre


Si, proprio come diceva Troisi nel suo film. Perché mai ricominciare da zero?
“Tre cose mi sono riuscite nella vita perché aggio a perdere pure queste?”.

Quindi, ricomincio da tre.

1. Una riflessione sulla sobrietà.
Il termine crisi nella sua etimologia deriva dal greco krisis: scelta, da krinein: distinguere, scegliere. Una situazione di malessere o disagio-si legge sul dizionario- determinata dalla mancata corrispondenza tra valori e modi di vita.
Da qui l’interrogativo di fondo sul limite del modello economico costruito negli ultimi decenni e sul tipo di sviluppo che la società globalizzata ha tentato di perseguire.
Si diffondono da più parti gli inviti a riscoprire la sobrietà. Ma questo significa predicare bene e razzolare male!
Provengo da una cultura profondamente laica, che va da Voltaire a Ugo La Malfa. All’inizio del nuovo anno, ho dato voce, su questo blog, all’aricivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, perché ormai, l’unica a parlare di sobrietà in un momento in cui lo yuppismo e il rampantismo sono tornati a dilagare, è la chiesa.
Lungi dall’essere riconducibile ad un banale “spendere meno”, l’autentica sobrietà è uno stile di vita, è una modalità di stare al mondo guardando la realtà nella sua interezza e nella sua complessità con uno sguardo libero da status symbol e attaccamento a beni materiali.
Sobrietà è anche sinonimo di un uso consapevole delle risorse e, oserei dire, di consapevolezza nelle relazioni con gli altri. Sapendo che oggi le scelte di pochi hanno conseguenze su tutti e su tutto, nessuno può veramente stare bene, se non stanno bene anche coloro che lo circondano.
Sobrietà è il requisito essenziale per una autentica solidarietà vero unico antidoto all’individualismo più suicida. Sobrietà, infine, è la capacità di non essere spaventati dal futuro staccandosi ogni tanto dalle notizie, sempre catastrofiche, dei nostri telegiornali.

2. Ho consegnato in questi giorni al mio Editore un nuovo libro “Stai come vuoi. Manuale di equilibrio emotivo”. E’ il mio settimo libro. Quest’ultimo, va a completare una trilogia iniziata con “Le relazioni virtuose” e proseguita con “Pensieri, parole e stati d’animo”.
Non lasciatevi ingannare dal titolo, il libro non propone miracoli.
Lo dico a voi amici e ai molti che incontro nelle aule. In questo periodo spesso mi chiedono come fare a risolvere i problemi in modo “facile”, senza fare fatica.
“Stai come vuoi” significa che una persona può, con un grande lavoro su se stesso, imparare ad ottenere il proprio equilibrio emotivo.
Equilibrio è una parola chiave, viene dal latino libra che significa bilancia. Bilancia con i piatti pari, equa.
Questa è la formula.
Non è una bacchetta magica, a volte si può impiegare una vita per riuscire a equilibrare i due emisferi cerebrali. E, soprattutto a mantenerli equilibrati in ogni situazione, non lasciando che l’emotività ci domini, ma rifuggendo il grigiore e la piattezza di una vita razionale e totalmente priva di emozioni.
Mi piacerebbe insegnare, soprattutto ai più giovani, a curare il loro aspetto interiore invece che quello esteriore. E’ bene che capiscano che allenare il proprio cervello è meglio che allenare i propri pettorali.

3. Mentre scrivo queste righe il numeratore delle visite del nostro blog ha raggiunto quota 400.000.
Forse, per qualcuno di voi, questo numero è insignificante. Ma per me che, non sono Beppe Grillo, non sono conosciuto al grande pubblico e non vado neppure alla televisione…beh, fino a poco tempo fa, pensare di essere letto da un numero così elevato di persone non mi passava neppure per la testa.
400.000 persone sono gli abitanti di città come Bologna, Firenze o Bari.
Dal cuore mi sgorga un grande GRAZIE.
Un grazie a tutti voi che avete visitato il blog, un grazie perché avete dato il mio stesso valore a una parola, a una emozione, a un sorriso.
Un grazie a chi è passato di qui, anche per caso, e ha trovato qualche informazione interessante.
Un grazie a chi si è fermato a commentare aggiungendo un pezzetto di sé. I vostri commenti mi fanno sempre un enorme piacere, lasciatene tanti, fa bene a tutti.

In occasione dell’uscita del nuovo libro i siti Comuniconline e Relazioni virtuose saranno integralmente rivisitati per facilitare ulteriormente il dialogo fra tutti noi.
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  10:28 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



4 Gen 2010
La parola del Cardinale Dionigi Tettamanzi
Specialmente nel momento difficile che l’economia mondiale sta attraversando, con la solidarietà
non bisogna dimenticare la sobrietà, che costituisce la via maestra alla solidarietà. È infatti l’uso corretto e sapiente dei beni la prima forma che realizza una solidarietà piena e consente il dono a mani libere, senza trattenere nulla se non quanto necessario.
In queste ultime settimane sempre più spesso si è insistito da molte parti e con grande enfasi sulla necessità di sostenere il più possibile i consumi.
Certo le esigenze della moderna economia vanno in questo senso: se non si produce, se non si vende, se non si consuma, l’economia ristagna.
Ma anche qui ritorna il tema della giusta misura: non ci sono forse troppi bisogni inutili, indotti da una pubblicità più che ingannevole?
Dovremmo forse cominciare a riflettere sulla giusta dimensione della crescita economica, perché non si può far crescere all’infinito la domanda di cose, e uso appositamente il termine «cose». Forse gli economisti potrebbero aiutarci a rispondere alla domanda:
quanto è giusto crescere?
E, ancora, in quali settori è giusto crescere di più?
La medicina, la cultura, la ricerca scientifica, l’ecosostenibilità, l’agroalimentare per dare cibo a tutti…
È una domanda che riguarda anche la vita dei Comuni che amministrate.

Le opere essenziali in genere non mancano: scuole, strade, fognature, acquedotti, centri
sportivi ecc. Manca a volte la cura quotidiana di tutte queste realtà affinché siano effettivamente
e utilmente a disposizione della gente.
Mancano, molto spesso, o risultano inadeguati i servizi alle persone, soprattutto ai più bisognosi per motivi non solo economici. Diventa quindi necessario interrogarci:
in quale direzione crescere?
Che cosa è davvero necessario?
Che cosa è davvero urgente e prioritario e cosa non lo è, rispetto al bene della gente che abita il territorio da noi amministrato?
Dove investire le risorse che ci sono, anche se rischiano di essere sempre insufficienti?
Tocca a voi cercare e trovare la risposta appropriata. È comunque importante, prioritario tenere viva la domanda.
Più che preoccuparci genericamente della crescita, urge chiederci perché e come crescere. È in gioco il nostro modello di sviluppo, la sua dimensione veramente e pienamente umana, il suo orizzonte sociale. È giusto crescere, dunque,ma quale è la giusta misura?
Forse nessuno ci sta seriamente pensando, perché ci lasciamo travolgere dal meccanismo irrefrenabile del mercato. Un’economia seria non può non porsi la domanda e cercare la risposta;
così come una politica seria. Parlando dell’attuale crisi economica globale, come un «banco di prova» e «quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro», papa Benedetto XVI ha posto e motivato un interrogativo che chiede una riflessione
accurata e una disponibilità alla «conversione»:
Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante?
Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni
parte del mondo. Sempre in rapporto a questa crisi, da leggersi in profondità «come un sintomo grave che richiede di intervenire sulle cause», il Papa afferma: «Non basta – come direbbe Gesù – porre rattoppi nuovi su un vestito vecchio (cfr.Mc2,21)» (Angelus, 1 gennaio 2009).
Per esemplificare ci poniamo qualche domanda. Possiamo sostenere uno sviluppo che non si faccia carico delle esigenze del pianeta: dei popoli poveri ed esclusi dalla mensa imbandita dei Paesi ricchi, dell’ambiente, del risparmio delle risorse naturali? Questo non significa fermare il progresso economico, ma «ri-orientarlo», significa chiedersi dove stiamo andando e correggere la rotta per raggiungere approdi migliori. Porsi la domanda sul modello di sviluppo e sul tasso di crescita, sulla distribuzione delle risorse ha realmente a che vedere con il progresso e con il benessere di tutti. Non è l’atteggiamento di chi vuol tornare indietro, ma di chi vuole proseguire con assennatezza.
Eppure si tratta di domande che spesso infastidiscono, forse semplicemente perché toccano il cuore della questione. Ancora per esemplificare: perché tacitamente accettiamo che intere aree del pianeta siano tagliate fuori dal progresso, anche minimo?

Dal discorso, «La sobrietà dimenticata», del Cardinale Dionigi Tettamanzi
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  15:58 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



21 Dic 2009
E per le feste…un omaggio all'indimenticabile Jim Rohn
"Devi assumerti la responsabilità personale. Non puoi cambiare le circostanze, le stagioni, o il vento. Ma puoi cambiare te stesso. E qualche cosa alla quale tu dai la carica. Non puoi dare la carica alle costellazioni, ma puoi dare la carica a te stesso leggendo, sviluppando nuove abilità, e imparando cose nuove."

"La felicità è un modo di interpretare il mondo e i suoi eventi. La felicità è condurre un'esistenza dai valori equilibrati. E' il saper essere contenti dei propri compiti quotidiani. La felicità è un'esistenza vissuta bene e colma di persone di un certo spessore. La felicità è l'attività che ha uno scopo. E' amore messo in pratica e può essere provata solo nel momento presente."
"La felicità non è qualcosa che rimandi al futuro; è qualcosa che progetti per il presente."

"L'Ignoranza non è una benedizione. Ignoranza e' poverta'. Ignoranza è devastazione. Ignoranza è tragedia. L'Ignoranza è malattia. Tutto ha origine dall'Ignoranza."
"Possiamo avere di più di quello che abbiamo perchè possiamo diventare di più di quello che siamo."

"Uno stipendio non è paragonabile ai guadagni che possono derivare da un'attività indipendente: con uno stipendio ti guadagni da vivere, ma con un'attività indipendente puoi guadagnare una fortuna. L'educazione formale ti permetterà di guadagnarti da vivere; l'apprendimento come autodidatta ti farà guadagnare una fortuna."

"Se volete che la vostra vita cambi prima dovete cambiare voi, altrimenti non cambierà mai molto."
"Se non progetti un tuo proprio piano per la tua vita è probabile che cadrai dentro il piano di qualcun altro. E indovina cosa hanno pianificato per te? Non molto."

"Il motivo principale per prefissarsi un obiettivo consiste in ciò che ti fa capire di te per raggiungerlo. Ciò che capisci di te sarà sempre il più grande valore che puoi ottenere."

"L'unica cosa ancora peggiore di non aver letto un libro negli ultimi 90 giorni è non aver letto un libro negli ultimi 90 giorni e pensare che non importa."
"Se leggete un libro al mese sul vostro campo di attività, in 10 anni avrete letto 120 libri. In questo modo entrerete a far parte di quell’un per cento alla guida del vostro settore. Tutti i libri che non avete letto non vi aiuteranno!"
"Salta un pasto se devi, ma non perdere un buon libro."
"Le persone di successo lasciano la scia."

"La motivazione da sola non basta. Se hai un idiota e lo motivi, ora hai un idiota motivato."
"La migliore motivazione è l’automotivazione. Uno potrebbe dire: "Vorrei che qualcuno venisse e mi entusiasmasse." Ma che farai se non appare nessuno? Devi avere un piano migliore per la tua vita."

"Il tempo vale più del denaro. Tu puoi guadagnare più denaro, ma non puoi assolutamente avere più tempo."

"Per risolvere qualunque problema ecco tre domande che devi porti:
Primo, che cosa potrei fare? Secondo, che cosa potrei leggere?
E terzo, a chi potrei chiedere?"

"Il carattere non è qualcosa con cui sei nato e che non può cambiare, come le tue impronte digitali. E' qualcosa con cui non sei nato e devi assumerti la responsabilità per il suo sviluppo."
"Non desiderare che le cose siano più facili: desidera piuttosto di diventare una persona migliore."
"E' la posizione delle vele, non la direzione del vento che determina quale strada prenderemo."
"Dedicati così tanto al miglioramento di te stesso da non avere il tempo di criticare gli altri."
"Il successo non è nè magico nè misterioso. Il successo non è altro che la naturale conseguenza dell'applicazione coerente delle basi del successo all'esistenza."
"I muri che costruiamo intorno a noi per tenere fuori la tristezza tengono fuori anche la gioia."

"Non puoi cambiare la tua destinazione da un giorno all'altro, ma puoi cambiare la tua direzione da un giorno all'altro."
"Lascia che gli altri conducano piccole vite, ma non tu. Lascia che gli altri litighino per piccole cose, ma non tu. Lascia che gli altri piangano a causa di piccole ferite, ma non tu. Lascia che gli altri abbandonino il loro futuro nelle mani di qualcun altro, ma non tu."
Jim Rohn
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  13:19 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



11 Dic 2009
Le cose che ho imparato nella vita

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:
Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. E per questo, bisognerà che tu la perdoni.
Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
Che le circostanze e l’ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.
Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.
Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.
Che la pazienza richiede molta pratica.
Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.
Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto te stesso.
Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.
Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.
Forse Dio vuole che incontriamo un po’ di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, così quando finalmente la incontriamo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.
Quando la porta della felicità si chiude, un’altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi.
La miglior specie d’amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti che è come se fosse stata la miglior conversazione mai avuta.
E’ vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un’ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
Non cercare le apparenze, possono ingannare.
Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.
Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante una giornataccia.
Trova quello che fa sorridere il tuo cuore.
Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice.
Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.
Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori.
Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l’unico che sorride e ognuno intorno a te piange.
Paulo Coelho
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  10:19 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



30 Nov 2009
Parole su cui si fonda l' identità
Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all' estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c' incontriamo, possiamo essere, l' uno con l' altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. (...) Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l' uno con l' altro, noi fratelli, nel buio d' una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo.
(Da «Lessico famigliare», di Natalia Ginzburg, Einaudi)
 
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postato da  Claudio Maffei alle  12:55 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



23 Nov 2009
Diventare carismatici? Con la PNL si può
Possiamo diventare più carismatici semplicemente leggendo un libro?
All'inizio ero un pò scettico, e mi sono dovuto - piacevolmente - ricredere!
Sto parlando del libro "PNL per il carisma" di Owen Fitzpatrick
E' un manuale che si legge in un lampo ed è ricco di esercitazioni e di indicazioni pratiche!

Il carisma è una qualità indipente dal quoziente d'intelligenza, dal corredo genetico e dalla posizione sociale; il carisma è una qualità che si può imparare e sviluppare.

Nel primo capitolo viene analizzata la natura del carisma. Fitzpatrick analizza i 7 tipi di carisma, tra i quali c'è il carisma personale, ovvero il tipo di carisma analizzato nel corso del libro.

Nel secondo capitolo viene affrontato l'atteggiamento carismatico, con il corredo di convinzioni che ci permettono di liberare il nostro carisma. E non solo: anche i "nemici" del carisma vengono analizzati in maniera brillante ed esauriente. Successivamente l'autore si occupa degli stati carismatici, ovvero questi stati emotivi, mentali e fisici che ci permettono di agire e di comunicare in modo carismatico.

Nel terzo capitolo si compie un passaggio verso l'esterno: si parla di comportamenti carismatici, che corrispondono al modo in cui ci presentiamo agli altri a livello comunicativo e di immagine.
L'autore ci insegna a rendere più carismatici la nostra immagine, il nostro tono di voce, il nostro linguaggio, ci insegna un sacco di dritte per migliorare la nostra reputazione, per instaurare il "rapport" con le persone, ci insegna a raccontare (abilità importantissima), a fare humour, a persuadere nella maniera più efficace possibile.

Il quarto capitolo verte sulle applicazioni del carisma personale:
- l'arte di parlare in pubblico e insegnare;
- l'arte della leadership;
- l'arte di sostenere colloqui di lavoro;
- l'arte di flirtare;
- l'arte della vendita;
- l'arte della comunicazione aziendale;
- l'arte di socializzare.

Per tutte le voci l'autore ci spiega quali sono gli stati, le convinzioni e le abilità più utili, efficaci e potenzianti.

Nell'ultimo capitolo viene affrontato il "lato oscuro":
"Il carisma porta con sé una grande responsabilità. E' importante sapere come nascondere il carisma, così da poterlo mettere da parte quando non serve. E' inoltre essenziale comprendere come affrontare i giochi psicologici e come ricevere critiche e feedback in modo più efficace".

L’idea di base è che il carisma è una caratteristica a volte non evidente, che esiste in ciascuno di noi e che aspetta solo di essere identificata, portata in superficie e sviluppata.

Owen Fitzpatrick è stato il più giovane NLP Master Trainer al mondo: ha ottenuto la certificazione quando aveva 23 anni, ricevendo anche un riconoscimento per il suo contributo agli studi sulla Programmazione Neuro-Linguistica.
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  17:16 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



13 Nov 2009
Giornata mondiale della gentilezza
Il tasso di gentilezza di un popolo si misura al volante. Considerato che negli ultimi 12 mesi 28 milioni di italiani hanno litigato ferocemente su questioni di trafficologia varia, il nostro sarebbe intorno all'11%. Pochino. Se poi andiamo allo stadio scende al 7, per non parlare dei talk show. E il grido di dolore attraversa i blog: «Dov'è finita la gentilezza?». Se non morta, moribonda, ko.

Si lamenta Caudio Risè, che insegna Psicologia dell'educazione a Milano: «Migliaia di durezze, di sguardi taglienti e di commenti secchi hanno preso il posto dei sorrisi, delle battute cordiali, delle occhiate sorridenti». Si lamenta Beppe Severgnini su «Italians»: «La gentilezza, fino a qualche tempo fa, era il nostro marchio di fabbrica, e attirava più turisti di Venezia e del Colosseo. Non so cosa ci stia succedendo». Si lamentano in tanti, come Francesca Visentin, che ha depositato in Rete il suo diario di ordinarie scortesie ricevute. «In coda al semaforo ci metto tre secondi in più a ripartire e il gentiluomo dietro è già pronto a strombazzare il clacson come un ossesso». «Sto entrando a parcheggiare dopo averne diligentemente segnalato l'intenzione, mettendo la freccia, e dal lato opposto s'inserisce sgommando un Suv. Il gentiluomo alla guida, avvertito che c'ero prima io, se ne va bestemmiando». L'elenco è ancora lungo e c'è da complimentarsi per i nervi saldi della signora.

Ma tutto questo potrebbe cambiare. Merito di una pacifica crociata contro l'esercito degli Arrabbiati Cronici. Oggi, 13 novembre, Giornata Mondiale della Gentilezza, tutti sono invitati (gentilmente), a comportarsi meglio. Un libro guida? «Elogio della gentilezza», di Adam Phillips e Barbara Taylor. Un esercizio? Su www.helpothers.org è possibile esibirsi in atti anonimi di gentilezza e firmarli con una speciale cartolina scaricata dal sito. Chi la trova sarà incoraggiato a ricambiare. La gentilezza - dicono gli psicologi - è più contagiosa dell'influenza. Basta cominciare. C'è chi l'ha fatto, uscendo dalla logica «gentile=perdente», «aggressivo=vincente», che è alla base di moltissima infelicità e sciagurato marketing.

Il «World Kindness Movement» (Movimento Mondiale per la Gentilezza), nato a Tokyo nel 1988, esportato in America con successo, dove ha sviluppato un'imponente manualistica, raggruppa oggi 18 nazioni e in Italia, (unico avamposto europeo, a parte la Scozia) ha sede dal 2000 a Parma, dove l'Automobil Club espone il Manifesto della Gentilezza e suggerisce ai soci di praticarla. Il sito www.gentilezza.it (posta: info@gentilezza.it) invita a segnalare gli atti meritori e a diffondere il Verbo. Il presidente del Movimento, Giorgio Aiassa, sostiene simpatiche iniziative a scuola e in città. Per esempio, Anna Maria Ferrari, una delle menti dell'associazione, ha avviato con gli studenti di Parma il progetto «Diario della gentilezza», che si concluderà a maggio del 2010. Con un meccanismo molto simile a quello del Grande Fratello: ci saranno nomination, eliminazioni e un vincitore, ovviamente gentilissimo.

Non mancano esempi autorevoli, dal Dalai Lama, Nobel per la pace nel 1989, che invita a una «politica di gentilezza» (e sarebbe ora), a Renato Brunetta. Il ministro per la Pubblica Amministrazione ha appena annunciato: «Normerò l'obbligo della gentilezza e della cortesia nei confronti dei cittadini». E già il sindacalista Carlo Podda ribatte: «Chissà se con l'occasione il ministro riuscirà a “normare” la sua, di gentilezza...». Per fortuna c'è il cantautore-mito Claudio Baglioni. Sostiene che «la gentilezza è rivoluzionaria» e, da un link all'altro, questa è diventata una delle frasi-manifesto del Movimento. Rivoluzionaria e contagiosa. L'invito dilaga, ma quanti lo seguiranno? Serve aiuto? Su www.esseregentili.it (contatti: info@esseregentili.it) trovate stimoli culturali, citazioni di Madre Teresa, Siddharta, Lao Tze, su Girlpower un piccolo manuale di carinerie quotidiane: «In ascensore, non restate in silenzio; se arriva un nuovo vicino di casa, dategli il benvenuto; se fate lavori in casa mettere un cartello in cui vi scusate per i disagi; in treno, aiutate chi ha troppi bagagli da scaricare».

E via di seguito, per arrivare a 13 semplici idee, perfette dal 13 in poi. La gentilezza, oltretutto, fa bene alla salute. Collegatevi con www.actsofkindness.org, leggete i risultati delle ricerche e sorridete. «Per quanto piccolo, nessun atto di gentilezza è sprecato» (l'ha detto Esopo). Pensateci, in mezzo al traffico.

la stampa.it
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  16:40 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



4 Nov 2009
10 cose che i social media non possono fare
Sul blog di B.L Ochman, affermata consulente newyorkese di internet marketing, ho trovato un fantastico decalogo, mirato a sfatare alcune ingenuità che affliggono il chiacchiericcio mediatico (e aziendale e politico) sui social media.
Traduco liberamente (e riassumo) le «10 things social media can’t do» secondo B.L Ochman:
1. Sostituire una strategia di marketing. Una campagna su Twitter o un profilo Facebook per annunciare le migliori offerte settimanali della tua azienda non sono una strategia di marketing.
2. Avere successo se dietro non ci sono manager capaci di entrare in relazione col cliente. I social media richiedono disponibilità ad ascoltare i clienti, a entrare in relazione personale con loro, a fare cambiamenti in base al feedback che forniscono.
3. Essere visti come un progetto a breve termine. I social media comportano un impegno di innovazione e sperimentazione a lungo termine.
4. Produrre in fretta risultati significativi e misurabili. Come le PR, il marketing basato sui social media spesso produce i risultati migliori dal secondo e terzo anno in poi, non prima.
5. Essere «fatti in casa». Una campagna di social media va integrata in un piano di marketing più ampio e complesso, che include la pubblicità, internet e le PR. Oggi i migliori esperti di social media hanno almeno 10 anni di esperienza fra forum, blog, e altri ambienti di interazione e produzione di user generated content sul web.
6. Rinfrescare velocemente l’immagine o riparare la reputazione danneggiata di un’azienda. I social media producono risultati veloci solo nel caso di aziende che sono già note e solide fuori da Internet.
7. Essere realizzati senza un budget realistico. Costruire un sito che comprenda interattività, user generated content e magari e-commerce, costa denaro, tempo e risorse, anche se si usano strumenti in parte gratuiti (come WordPress), che vanno comunque integrati in un sito complesso e nelle altre attività di marketing dell’azienda.
8. Garantire automaticamente vendite o influenza. Dopo aver costruito un ambiente di social networking, bisogna sapere come attirare visite e attenzione su quell’ambiente.
9. Essere realizzati da «ragazzini» che conoscono i social media in quanto «nativi digitali». Le aziende che cercano di costruire social media senza consulenti esperti sprecano tempo, denaro e reputazione.
10. Sostituire le PR. Per quanto siano meravigliosi il tuo blog o la tua strategia su Twitter, avrai comunque bisogno di farti conoscere. O finirai come un albero che cade nella foresta e nessuno lo sente
Origine: giovannacosenza.wordpress.com
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  16:25 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



20 Ott 2009
Patch Adams
C’era una volta un malato di mente. Si chiamava Hunter. Già suicida mancato, si era volontariamente fatto ammettere in un istituto di cure psichiatriche, sperando di guarire dalle sue psicopatologie. Nell’istituto trovò molti malati, e alcuni dottori.
Dopo poco tempo capì che dai primi poteva imparare qualcosa, dai secondi no. L’illuminazione gli fu data da un suo compagno degente, che i dottori ritenevano gravemente malato. Questi era un vecchio imprenditore, che aveva fondato una delle imprese più innovative del Paese.
Dopo trent’anni di successi, pareva però che avesse perso il lume della ragione e fu quindi rinchiuso nell’istituto di cura. Qui, il vecchio imprenditore passava il tempo a scrivere formule per i nuovi prodotto e a chiedere a chiunque gli passasse accanto : "Quante dita vedi?", mostrando la mano aperta con quattro dita. Invariabilmente, tutti gli rispondevano :"Quattro". E, invariabilmente il vecchio imprenditore rispondeva : "Sei un altro fesso che non sa vedere nulla".
Un giorno Hunter gli chiese perchè riteneva fessi tutti quelli che, come lui d’altronde, rispondevano che vedevano quattro dita. Il vecchio imprenditore si fermò, fece vedere la mano aperta, sempre con le quattro dita alzate, e disse ad Hunter : "Guarda bene, fino in fondo, e cerca di vedere oltre quello che di sta di fronte al naso. Cosa vedi?". Hunter fissò per qualche minuto la mano. Dapprima vedeva solo quattro dita. Poi, continuando a fissarla, l’immagine delle dita si dilatò, fino ad apparire sdoppiata. Le dita che vedeva, per l’effetto visivo, divennero otto, non più quattro. "Beh, ora che le sto guardando a fondo, mi dà l’effetto di vedere otto dita". "Bravo, rispose il vecchio imprenditore, ora hai capito. A prima vista tutto è uguale, ma se guardi più a fondo, riesci a vedere quello che gli altri non vedono. E adesso dimmi:chi è il matto?".
C’è chi, guardando un punto distante, dove magari c’è un albero, vi descriverà esattamente ciò che vede: "l’albero". C’è chi invece vi risponderà in un altro modo : "Vedo un albero in un prato verde. Un posto fantastico per costruirci una bella casa". Così vede l’imprenditore. Così vedeva il vecchio "malato di mente". E così cominciò a vedere il signor Hunter. Che da quel momento comprese l’importanza del "guardare oltre le apparenze". Iniziò a guardare in modo diverso i medici dell’istituto. Che raccoglievano dati sui pazienti, completavano formulari su formulari, scrivevano diagnosi tecniche.
Ma non riuscivano ad arrivare alle radici del problema. Nè a guarire nessuno. Hunter ci provò. Iniziò a guardare le cose dal punto di vista dei suoi colleghi pazienti, e scoprì che avvicinandosi a loro riusciva, se non a guarirli, perlomeno ad aiutarli. Si appassionò a tal punto che scoprì persino di essere guarito. Preoccuparsi degli altri lo aveva infatti portato a ignorare i suoi problemi, fino al punto da considerarli in maniera completamente diversa. Le ragioni che lo avevano portato al tentativo di suicidio gli apparivano ora del tutto futili, e recuperò non solo la voglia di vivere, ma anche quella di aiutare gli altri. Si fece dimettere dall’istituto, raccogliendo il parere negativo dei medici : "Lei è ancora malato!". A loro rispose: "Scrivetelo ben chiaro e rileggetelo fra un po’ di tempo".
Decise di iscriversi, ormai quasi quarantenne, all’università. Facoltà di medicina. Gli studenti ventenni lo guardavano con una certa diffidenza ma lui non se ne curò più di tanto. Si preoccupò, invece, di sovvertire alcune regole dell’università. Prima fra tutte, quella che impediva di vedere malati prima del terzo anno di studi. Inizio a infiltrarsi nell’ospedale vicino all’università, e a conoscerne i pazienti. Alcuni di questi, gravi, vivevano con ansia la loro malattia, non trovando mai spunti nè per rallegrarsi, nè per sopportare gli effetti negativi delle cure.
Hunter cominciò, prima con dei bambini e poi con gli stessi adulti, una terapia che egli definì "della risata". Cercava di far dimenticare al paziente, almeno in parte, la sua malattia, aiutandolo a trovare nella giornata momenti di allegria o conforto. "I pazienti sono degli esseri umani, non dei "casi clinici" da diagnosticare con freddezza. Chi non capisce questo, non sa che cosa significhi essere un medico. Non bisogna solo diagnosticare o prescrivere, ma anche aiutare il prossimo. Trattandolo prima di tutto come essere umano", sosteneva.
Hunter cominciò a contestare l’intero sistema di cure vigente nell’ospedale. Contestò anche l’incredibile burocrazia che impediva, spesso, di curare per tempo i bisognosi. Iniziò a giocare, di nascosto, con i pazienti. A conoscerne i desideri, a stimolarne l’allegria. Persino con i malati terminali riuscì a ottenere risultati sorprendenti, aiutandoli a vivere al meglio le ultime settimane di vita. I direttori dell’ospedale e dell’università gli si scagliarono contro : "Lei insulta l’Ordine medico. Lei è un buffone, un clown, un pazzo. Lei contravviene a regole che sono state scritte e osservate per cent’anni". Hunter rispose : "No, signori. Io curo i pazienti come se fossero esseri umani".
Iniziò a sognare di fare qualcosa di più. Condivise il suo sogno con altri, e alla fine trovò i finanziatori. Costruì il Gesundheit Institute, nel North Carolina, una clinica specializzata nella cura emotiva e psicologica del paziente. Nella clinica si prescriveva "Humour". Hunter e i suoi colleghi medici si travestivano da gorilla, o da clown, per creare un ambiente migliore. Non c’erano pratiche burocratiche da espletare, e si entrava finchè c’era posto.
L’ingresso era gratuito per tutti, finanziato dal crescente numero di mecenati che, dopo aver visto Hunter all’opera, decisero di contribuire al suo sogno. Nei decenni che seguirono, Hunter Patch Adams, questo il suo nome per intero, curò migliaia e migliaia di malati. La sua opera fu raccontata in un libro, e oggi viene descritta anche in un film, magistralmente interpretato da Robin Williams, intitolato "Patch Adams". Il nome del medico che dimostrò, una volta ancora, che il mondo riuscirà sempre a migliorare fino a che ci sarà qualcuno pronto a farsi flagellare pur di sostenere ciò in cui crede.
 
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postato da  Claudio maffei alle  16:36 | aggiungi commento | commenti presenti [0]





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