1 Mar 2010
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Ma Internet danneggia le relazioni? | |
Il mio amico Damiano Gornati, riguardo al post precedente, mi scrive:
“Tutto vero e condivisibile, ma sta emergendo un problema da non sottovalutare: una scuola superiore mi ha chiamato a tenere corsi di comunicazione agli studenti dell'ultimo anno, perchè non riescono più a parlare in pubblico e durante le interrogazioni vanno in crisi... Si stanno disabituando alle relazioni umane reali.” “Io parlare in pubblico? Nemmeno se mi ammazzi!!” mi sono sentito dire per tutta la vita. Un modo di dire certamente iperbolico e provocatorio, ma a pensarci bene nemmeno troppo. Secondo recenti statistiche infatti, la paura di parlare in pubblico è una delle primissime fra quelle che affliggono la popolazione mondiale, e precederebbe addirittura la paura di morire. Ne consegue, sempre un po’ provocatoriamente, che, ad un ipotetico funerale, molti preferirebbero trovarsi nella parte del defunto che non in quella dell’amico o del conoscente che legge l’orazione funebre! Tutto sembra partire dall’infanzia, quando ci siamo trovati in una situazione di esposizione ad un pubblico, in cui abbiamo provato un’emozione negativa: potrebbe essere stato quando abbiamo dovuto, recitare la poesia di Natale davanti ai parenti, e magari con i genitori che ci dicevano che non l’avremmo mai detta bene come il cugino Filippo; oppure potrebbe essere stato il momento in cui dei compagni di asilo ci hanno derisi perchè non sapevamo giocare bene o quello in cui ad un’interrogazione abbiamo balbettato e con la coda dell’occhio vedevamo l’immancabile secchione primo della classe che, al primo banco, ci guardava con aria di superiorità. Insomma, il condizionamento può essere avvenuto in mille momenti e in mille modi diversi, quello che conta è superarlo. E si puo’! Una delle più grandi trappole a cui conduce spesso la paura di parlare in pubblico è quella della rinuncia. Si teme di provare le stesse emozioni che un tempo ci fecero stare così male e allora si evita di esporsi, di dire la propria. Durante un mio corso di public speaking, ricordo un uomo di mezza età che, durante una pausa, si confidò con me. Esternandomi ammirazione, mi confessò di essere un brillante uomo d’azienda la cui carriera era stata però drasticamente limitata dalla paura di esprimere le proprie idee in pubblico. Aveva tenuto, per anni, una condotta permanentemente rinunciataria ed il risultato era stato che gran parte delle sue potenzialità di crescita e guadagno rimasero inespresse. La rinuncia a volte diventa un’arte, spesso infallibile. Secondo alcune testimonianze esistono persone che, terrorizzate dalla sola idea di parlare in pubblico, sono diventate geniali nell’escogitare le soluzioni più strampalate, ma spesso efficaci, per evitare di rimanere coinvolte in una riunione, convegno o conferenza che sia, per cui dopo anni trascorsi all’interno di aziende od organizzazioni e dopo aver sempre evitato di parlare in pubblico, riescono ancora a mascherare la loro paura. Ma dove può portare questo tipo di atteggiamento? Tutti noi siamo necessariamente sottoposti a situazioni di public speaking, a partire da quando andiamo a scuola e siamo interrogati oppure in mezzo agli amici quando raccontiamo una barzelletta. Nel mondo di oggi, più competitivo, queste capacità sono richieste, oserei dire indispensabili, non solo ad un avvocato o ad uno speaker, ma anche ad un semplice impiegato spesso alle prese con riunioni e corsi di formazione. Le persone che hanno maggiori difficoltà a parlare in pubblico sono ovviamente i timidi, o quelli che si considerano tali. Tremano, spesso balbettano, sudano, hanno le mani bagnate, la gola secca e parlano con un filo di voce. Spesso arrossiscono o impallidiscono. Pallore e rossore dipendono dal temperamento di ciascuno, ma entrambi sono imbarazzanti quando non si vuole far capire che si è timidi! Non bisogna permettere che la timidezza diventi cronica, perché potrebbe impedire di vivere del tutto la vita. Tanto più che è un ostacolo che si può superare. Fateci caso: quando vi appassionate a un argomento o a un progetto, subito dimenticate di essere timidi, vi infervorate e vi trovate a dire e a fare cose di cui non vi sareste mai creduti capaci. Tra gli artisti e gli uomini politici si contano non pochi timidi che hanno saputo vincere la propria timidezza, che hanno imparato a parlare in pubblico, a reggere lo sguardo degli altri e anche a sbagliare. Spesso la timidezza è segno di perfezionismo: si vorrebbe fare le cose troppo bene e si ha paura di non riuscirci. E allora, ragazzi, un semplice consiglio per incominciare. Prendete lezioni di dizione, fate teatro, yoga, training autogeno. Fate le baby-sitter. Stando con i bambini si impara a parlare con sicurezza e autorevolezza. In famiglia, rispondete al telefono, aprite la porta ai visitatori, rivolgete la parola allo zio burbero di cui avete un po' paura. In classe, alzate la mano almeno una volta al giorno, rivolgete la parola alla ragazza che vi intimidisce, alla fine della lezione andate a parlare con il professore di una materia che vi appassiona e…state con gli amici! Amici in carne ed ossa però. Avere quasi solo amici "conosciuti" su internet è gravissimo perché può provocare un senso di vuoto interiore, di tristezza, di svogliatezza, di superficialità, a volte anche nervosismo ingiustificato con le persone "vere" perché ci si disabitua a comunicare verbalmente con persone in carne ed ossa a causa del distacco parziale dalla realtà. Le amicizie di internet sono a "basso costo", basta un click e se vanno. Inoltre non hanno quasi nulla dell'enorme complessità dei rapporti umani. Però, secondo gli scienziati del Pew Internet and American Life Project, internet fa bene all'amicizia. Prendendo in esame circa 3500 persone, hanno dimostrato che il 72% degli intervistati che usa internet, era andato a trovare un parente o un amico il giorno prima di essere intervistato, mentre solo il 61% di chi non lo usa, lo aveva fatto. La chiave di lettura, secondo me, è che grazie a internet ci si può mettere d’accordo per vedersi di persona più frequentemente e facilmente rispetto ai normali mezzi. D’altra parte il cento per cento del mio lavoro deriva da contatti sul web o per e-mail. Dopo il primo contatto, però, mostro la mia faccia e il corso lo vado a fare di persona! Come sempre io non criminalizzerei il mezzo, ma l’uso che se ne fa. |
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postato da Claudio Maffei alle 12:28 | commenti presenti [2] |
COMMENTO BLOG |
postato da Loretta | 1 Mar 2010 alle 14:16 |
Grazie, Claudio, per aver espresso questi concetti così importanti con tanta chiarezza. Mi hai fatto rivivere le mie fallimentari esibizioni di Natale. Erano per me un incubo, ero timidissima e se qualcuno mi avesse detto, allora, che un giorno mi sarei guadagnata da vivere parlando in pubblico, l'avrei preso per pazzo. Quanto a ciò che dici riguardo a Internet, concordo pienamente. Grazie al web, ho ritrovato amici che non vedevo dagli anni del liceo. Li ho rivisti ed è stata una festa ritrovarsi dopo tanto tempo: i legami sono ancora forti, nonostante gli anni di lontananza. Ci eravamo solo persi di vista ed eravamo finiti in parti diverse del mondo. Ora siamo sempre in contatto, ci vogliamo bene e, non appena possibile, ci incontriamo. Grazie a Skype, ho contatti quasi quotidiani con persone lontane che amo. Grazie alla rete, tengo vivi rapporti di lavoro che, altrimenti, faticherei non poco a coltivare. La responsabilità è solo nostra, come sempre. |
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