6 Nov 2012
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Ridere è una cosa seria | |
“Risus abundat in ore stultorum:” il riso abbonda sulla bocca
degli stupidi, dicevano sempre i miei genitori e... a me... veniva tanto da ridere! Ho sempre riso molto, a scuola, con gli amici, nel lavoro. Per un po’ ho anche fatto l’autore per il cabaret e ho pensato di poter campare così. Poi, preso per fame, ho cominciato a fare il consulente e il formatore. Ho cercato di trattenermi un po’, ma senza successo. Cosa vi devo dire? Mi veniva da ridere! Una buona battuta di spirito è, per me, talmente importante da non riuscire a trattenerla, a costo di perdere un’amicizia e perfino un lavoro. Il ridere è un segno di trasgressione, di disobbedienza. S m i t i z z a re, sovvertire le regole, dubitare di tutto ciò che è ovvio, serve da valvola di sicurezza per non pre n d e re nulla e soprattutto se stessi troppo seriamente. Un autore americano, Og Mandino, ha scritto: “Non dovrò d i v e n i re mai tanto importante, tanto saggio, tanto austero, tanto potente da dimenticare di ridere di me stesso e del mondo. In questo voglio rimanere per sempre bambino”. In effetti, io ero così anche da piccolo. Ho sempre cercato di far ridere tutti. Per tutti gli anni della scuola ho avuto otto in condotta, ma qualche pro f e s s o re mi ha confessato, in privato, di divertirsi come un matto con le mie invenzioni. Totò e Oliver Hardy sono stati, fin dall’infanzia, i miei attori preferiti. Cos’avranno mai avuto in comune? Forse la gestione del corpo, la fisicità. Erano così diversi! Eppure, nei loro film, ogni movimento era perfetto. Le mani, i piedi, le facce, erano talmente duttili da sembrare di gomma. Potrei rivedere centinaia di volte “Fra diavolo” o “Totò, Peppino e a malafemmina” e ogni volta divertirmi e ridere di gusto. Ma Totò era inimitabile. Infatti, oltre a snodarsi come un burattino, era maestro nel gioco di parole: “Signori si nasce e io lo nacqui”, “Una volta tandem”, “Tu prode! No, a me non mi prode!”, “Sei edotto? Sì, fanno quattordici”, “Parli come badi”, “Ogni limite ha una pazienza”, e si potrebbe andare avanti all’infinito. Ma il mio parrucchiere non è da meno, anche se lo fa in modo involontario: “Mia figlia vive in una villetta a scheda”, “È stata in vacanza a Milano Sabbia d’Oro”, “Catilina era la moglie di C i c e rone”, o addirittura “I figli di Adamo ed Eva erano Caino e Adele!”. Sono solo quelle che mi ricordo. Purtroppo non ho il coraggio di andare con un blocchetto e scrivermele; faccio già abbastanza fatica a stare serio. Per fortuna oggi le cose stanno cambiando. E’ infatti scientificamente dimostrato che la maggior parte dei nostri guai di salute (fisica, ma anche psicologica, emotiva, relazionale) sono attribuibili al fatto che prendiamo le cose in maniera drammatica e poco costruttiva. Insomma, ridere fa bene, sotto tutti i punti di vista. Il problema è che, spesso, sembra non ci sia molto da ridere. E allora? Come possiamo fare? La risposta è nel Laughter Yoga , o Yoga della Risata, una tecnica semplice e potente che arriva dall’India e che, rapidamente, dal 1995 a oggi, si è diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo, Italia compresa. La mia amica Loretta Bert (www.lorettabert.eu) che, fra l’altro, collabora con il dr.Kataria, il medico indiano che ha ideato questa disciplina, ne è entusiasta. Dice che funziona, in tempi brevissimi, come collante per il team building, per risolvere conflitti sul posto di lavoro, per rinforzare la leadership. Loretta propone alle aziende, piccole e grandi, la “laughing room”, una specie di palestra, flessibile fino a diventare quasi virtuale, che favorisce lo spirito di squadra, la produttività e la creatività. Una risposta ottimista e concreta per attraversare i momenti difficili con equilibrio e con ottime probabilità di successo. |
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postato da Claudio Maffei alle 15:23 | commenti presenti [0] |
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