28 Giu 2009
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo | |
A volte, basta un sorriso…
Ciao Claudio ho letto il tuo blog del 21 giugno “Medici a scuola per imparare a comunicare” . Quello che ho letto, mi ha toccato nel profondo perché l’ho vissuto personalmente, con mia sorella. Nel 2003, mia sorella, si ammalò di cancro. Fui io la prima a leggere l’ esame istologico e citologico. Quello che ho provato non si può neanche lontanamente immaginare. Per quello che è stata la mia esperienza, penso che sia giusto dire al paziente la verità, ma nello stesso momento infondere coraggio: “dai che ce la facciamo, insieme. Credici, non ti mollerò”. Questo deve saper dire un medico. Un medico deve saper parlare con le persone ammalate di cancro, in particolare ai giovani. Deve entrare in sintonia con il paziente deve infondere sicurezza e non paura. E invece…si va in giro come degli automi per ospedali a fare esami e terapie. Non c’è chiarezza, comprensione, calore umano e neppure un supporto psicologico per l’ammalato e la famiglia. Ti ritrovi da sola con un grosso problema da gestire e quella forza che deve venir fuori. Mia sorella non voleva curarsi. Solo allora e per una volta sola, qualcuno le disse non preoccuparti, vedrai ce la faremo. E poi… il silenzio. Quei silenzi erano un coltello nel suo cuore. Quei silenzi erano angoscia, paura. Esami su esami era tutto quello che le dicevano di fare. Non una parola di incoraggiamento. Solo la certezza che ogni giorno era regalato e che presto sarebbe arrivata la fine. Invece l’ammalato ha bisogno di entrare in empatia con le persone che lo seguono, deve sentirsi sicuro per reagire, per trovare la forza, per combattere, per non arrendersi. Fino alla fine. Mia sorella non voleva curarsi. Le dicevo:” abbiamo incontrato un nemico, dobbiamo combatterlo, io sarò lì con te Ci sono tante cure, molte persone hanno vinto questa battaglia, la vinceremo anche noi, vedrai. Anche se sapevo, dentro di me, che il pericolo di non farcela c’era, lei non doveva percepirlo, non potevo toglierle la speranza. Non avrebbe reagito, non avrebbe lottato. Infatti quando vedeva il viso del medico, un pò strano, silenzioso, lei si preoccupava, mi diceva:HO PAURA. Cosi un giorno andai dal medico a sua insaputa e gli dissi come si sentiva mia sorella quando lo incontrava. Lo pregai di aggiungere alla sua professionalità un po’ di umanità. Durante questo lungo percorso ne abbiamo incontrato solo uno di medico con una umanità ammirevole.. Lui aveva sempre una buona parola sia con mia sorella, sia con me. Con lui mia sorella era più tranquilla. Il problema è grave mi diceva, ma noi faremo tutto quello che si può fare. Lei però deve essere forte e trasmettere questa forza a sua sorella. Le mie ricerche personali mi avevano portato a capire la pericolosità delle terapie, ma per quel tipo di cancro c’ erano solo quelle, di terapie. E così l’ aiutai a comprendere che lei doveva continuare la sua vita come prima. Doveva vivere. E fu cosi. Faceva i controlli ma, fra un controllo e l’altro, la sua vita continuava. In casa ero riuscita ha instaurare un clima sereno, per lei. Dentro di me, l’ angoscia continuava, ma dovevo occuparmi di lei, dovevo darle un sorriso tutti i giorni e tanta serenità. Alla fine mia sorella è stata ricoverata nel reparto di ematologia. Lì non erano permesse le visite. Quella sera mia sorella mi voleva. Ho chiesto di entrare un momento indossando indumenti sterili, ma mi mandarono via. Quella sera mia sorella morì. Il medico deve dire la verità, deve essere sincero. Il medico deve saper ascoltare. Il medico deve infondere fiducia e dare speranza. Il medico deve trasmettere la forza di lottare di non arrendersi. Il percorso va fatto insieme: medico e famiglia. Non dobbiamo sentirci soli. Scusa lo sfogo. Grazie per quello che fai. Un abbraccio. Iris |
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postato da Claudio Maffei alle 18:06 | commenti presenti [0] |
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