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19 Nov 2012
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E' il minimo che possiamo fare
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Chi scrive lavora con un certo orgoglio da quasi 14 anni per la più grande azienda di ristorazione e servizi al mondo. L’orgoglio è dato dal fatto che ritengo di avere sempre cercato di agire con correttezza e nell’interesse dell’azienda che, in questo caso è proprio giusto dirlo, “mi dà da mangiare”.
Tutto questo presto potrebbe finire.
L’azienda ha infatti aperto una procedura di licenziamento collettivo dichiarando esuberi 824 dipendenti, più del 10% della forza lavoro nel mercato italiano. Di questi, quasi 250 nel torinese.
Tra gli esuberi vi sono figure di quasi ogni livello e inquadramento, che in alcuni casi saranno sostituite da cervelli freschi. Sparisce una figura professionale e al suo posto se ne inventa un’altra, che farà le stesse identiche cose ma si chiamerà in modo diverso e dovrà essere laureata, preferibilmente giovane e conoscere l’inglese.
Chi scrive ha 36 anni, la laurea sente di essersela ampiamente guadagnata sul campo, ha l’ardire di ritenersi ancora giovane e l’inglese ha avuto necessità di usarlo ben due volte in 14 anni di lavoro.
Per dovere di cronaca, specifico che i clienti in entrambe le occasioni hanno inteso benissimo la mia parlata.
Insomma si rottama. Per di più senza incentivi. Zero ammortizzatori sociali, o almeno queste sembrano essere le intenzioni dell’azienda. Azienda che non ha voluto sentire ragioni al tavolo con i sindacati.
Il tutto in ragione del vil denaro, che all’azienda non manca ( i conti italiani non sono colorati di rosso, sia chiaro), ma che evidentemente non è mai abbastanza. Gli azionisti si aspettavano di più dall’Italia, dunque è ora di fare pulizia.
E poco importa se questo significa mettere in difficoltà le famiglie. Ma quello che più mi lascia l’amaro in bocca, lo dico certa di parlare a nome di tutti i lavoratori coinvolti nella manovra, è che sarà come buttar via anni di impiego, sacrificio e devozione. Il nostro è un settore povero, dove il lavoratore non si arricchisce e le soddisfazioni spesso deve andarsele a cercare col lanternino. Ma questa è sempre stata la nostra forza, oltreché una garanzia per il cliente finale. Soddisfarlo, conquistarne la fiducia, farlo sentire a casa. Ci sono ancora mestieri che un robot non può svolgere e il nostro rientra tra questi.
Mestieri in cui oltre all’intraprendenza e alla buona volontà, è necessario avere fantasia, passione, gusto, santa pazienza e dedizione nei confronti del prossimo.
Tutto questo ora non ha più alcun valore, si prende e si butta via. Ciò che conta sono i numeri.
Io sono convinta che le aziende in sé non esistano. Le aziende sono fatte di persone.
Cancellate queste, l’azienda perde la propria forza, la propria ragion d’essere. Chiamatelo romanticismo, illusione, cecità. Questo è il mio pensiero.
Ora, la procedura finirà sul tavolo del Ministero del Lavoro.
Attendiamo che sia il Ministro ad illuminarci su chi è “choosy” in tutta questa brutta vicenda.
Silvia Brizio
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  11:44 | commenti presenti [0]


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