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10 Apr 2007
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Ciao, Paul!
Nel maggio dell’anno scorso è avvenuto un fatto accidentale molto interessante, per me che cerco di studiare quella che si chiama la “costruzione della realtà attraverso la comunicazione” . Una donna, era stata ricoverata d'urgenza, provvisoriamente, all’Ospedale Generale di Grosseto in uno stato di schizofrenia acuta e si era poi deciso di trasferirla nella clinica psichiatrica della sua città natale, Napoli. All’arrivo degli infermieri, la paziente era seduta sul letto, completamente vestita, borsa già pronta. Alla richiesta di seguire gli infermieri la donna dà in escandescenze, diventa belligerante; ha quella che si potrebbe definire una crisi di schizofrenia. Dopo un’iniezione calmante, l'ambulanza parte per Napoli, ma all'altezza di Roma, viene fermata e rimandata d'urgenza a Grosseto . C’era stato un errore: la signora era solo la parente di un uomo che era stato operato all’ospedale.
Bene: quello che mi interessa non è il fatto che ci sia state un errore, poiché questo può succedere. La cosa per me più importante è che nel contesto che si era creato, quindi nella realtà creata da questo errore, ogni comportamento di quella donna era prova ulteriore della sua follia.
Questa storia la sentii personalmente al Centro Studi Comunicazione di Enrico Cogno nel 1987.
Colui che la raccontava era uno dei più straordinari studiosi della comunicazione umana che io abbia mai incontrato, Paul Watzlawick. Nato in Austria il 25 luglio del 1921 ci ha lasciato a Palo Alto, USA, il 31 marzo del 2007.
Mi invaghii immediatamente del suo approccio al problem-solving che muoveva non dalle tradizioni della psichiatria o della medicina ma dalle tradizioni della logica dell’antropologia, della filosofia e dello studio della comunicazione umana partendo da un’idea: “ ognuno di noi costruisce ciò che poi subisce”. Noi forgiamo senza sosta la nostra realtà in un interazione perpetua fra il cosciente e l’incosciente, fra noi stessi e il mondo che ci circonda.
Fin dal 1960 il Mental Research Institute di Palo Alto ha visto fra le sue mura studiosi quali Gregory Bateson, Margaret Maed, Don Jackson e Milton Erickson , creare la cosiddetta terapia breve invertendo completamente le credenze freudiane che partono dall’idea che le persone devono diventare consapevoli delle cause dei propri problemi per riuscire a superarli.
Paul Watzlawick è l’unico di questi studiosi rivoluzionari che ho potuto avvicinare di persona.
Aveva una caratteristica fondamentale, l’umiltà.
Ricordo di lui un’altra frase che mi rimase impressa :
“ Se potessi un giorno imporre una regola dittatoriale in tutte le scuole della terra, sarebbe quella di obbligare tutti gli allievi a viaggiare. La scoperta di altri Paesi e di altri costumi ci obbliga a pensare che esiste una moltitudine di modi di fare le cose. Comprendere questo eviterà che crescendo questi allievi divengano razzisti, sciovinisti e che credano che esista una sola soluzione ai problemi”.
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  12:33 | commenti presenti [3]


COMMENTO BLOG


postato da   Luigi Poderico  [ http://zenartemanutenzionemotocicletta.blogspot.com/ ] 10 Apr 2007 alle 19:59
Sarebbe interessante poter approfondire il concetto “ognuno di noi costruisce ciò che poi subisce”. A cosa si riferisce precisamente?
E' il "subisce" che mi lascia perplesso. Perché l'uso di un termine negativo?

Cordialmente,
Luigi Poderico
 




postato da   Claudio Maffei 11 Apr 2007 alle 09:18
Il mio approccio e più biochimico che psicologico.
I pensieri che facciamo influiscono sulle sensazioni che proviamo che a loro volta agiscono sulla chimica del nostro cervello e del nostro corpo.
Ci rinchiudiamo all'interno dei limiti della nostra stessa mente, limiti che sono costituiti dalle nostre convinzioni, dai nostri pensieri e dalle nostre sensazioni.
Claudio Maffei
 




postato da   carola  [ http://solelunha.splinder.com ] 17 Apr 2007 alle 06:05
cito: "Ricordo di lui un’altra frase che mi rimase impressa :
“ Se potessi un giorno imporre una regola dittatoriale in tutte le scuole della terra, sarebbe quella di obbligare tutti gli allievi a viaggiare. La scoperta di altri Paesi e di altri costumi ci obbliga a pensare che esiste una moltitudine di modi di fare le cose. Comprendere questo eviterà che crescendo questi allievi divengano razzisti, sciovinisti e che credano che esista una sola soluzione ai problemi”.

Vero, molto verto, tantissimo vero, stravero...
Lo dice una persona che nella vita ha viaggiato molto poco, nel reale molto attraverso i libri...restare fermi in un punto limita molto.

Saluti Carola
 




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