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20 Lug 2013
Perchè non diciamo più per cortesia
Contate quanti tra di voi usano spesso parole o frasi come «prudenza», «virtù», «decenza», «per cortesia», «forza d’animo» e «gratitudine». Ora invece pensate a chi frequentemente dice «io», «personalizzata», «unico», «disciplina», «posso farlo io», «io vengo prima». Secondo uno studio condotto da Google su un database di parole estratte da 5 milioni di libri pubblicati in tutto il mondo tra il 1500 e il 2008 si è scoperto come alcune parole siano lentamente state dimenticate e altre si siano invece imposte nel linguaggio comune.

La ricerca, pubblicata dal Wall Street Journal in un articolo dal titolo «What words tell us» («Cosa le parole raccontano di noi»), restituisce l’istantanea di una società individualista, competitiva e poco educata.

Parole come famiglia, collettivo, tribù, sono lentamente sfumate: il senso di comunità è stato sostituito da uno spirito competitivo che ci fa preferire i termini «auto», «mio», «personalizzata» oltre a inglesismi performanti come «standout».

La coppia di studiosi americani Pelin e Selin Kesebir hanno scoperto che l’uso di parole come «coraggio» e «forza d’animo» è diminuito del 66 per cento, quello di «gratitudine» e «apprezzamento» del 49 per cento. Nel frattempo, l’utilizzo di parole associate con la capacità di produrre, come «disciplina» e «affidabilità» è invece aumentato.

Usando un immaginario contaparole durante le nostre conversazioni quotidiane potremmo probabilmente mettere al primo posto la parola «io» (incipit di molte conversazioni), seguita da avverbi perentori come «assolutamente» (sì e no, vale in ogni direzione). Con il risultato di rimanere sorpresi quando ci imbattiamo in parole come «compassione», «gratitudine», «cortesia» e «umiltà».

«Qualche sera fa ero al concerto di Cat Power ed è stato toccante sentire il mio vicino chiedermi, prima di accendere una sigaretta: “permette?”», racconta lo scrittore Mauro Covacich mentre passa in rassegna la scomparsa di altre parole cortesi. «C’è ancora qualcuno che quando risponde al telefono dice “pronto”? Riconoscendo già il nostro interlocutore dal nome che appare sul display abbiamo abbandonato quella formula di attenzione e esclusiva disponibilità che l’essere “pronti” prevedeva».

Dietro alla scomparsa di alcuni termini e delle formule cortesi, «che fanno tanto azzimato», c’è la logica efficientista. «È come se parlassimo un linguaggio “palestrato”, tecnofunzionale, un modo di esprimersi che somiglia a un corpo costruito in laboratorio: dobbiamo mostrare i muscoli e certi modi di esprimersi sono utili a questo», osserva lo scrittore triestino.

Al punto che anche l’uso di parole sconvenienti può diventare un modo incisivo di esprimersi. È fresco di stampa il libro della studiosa britannica Melissa Mohr (una laurea in letteratura inglese e a una specializzazione su Medioevo e Rinascimento) «Holy Sh*t», in cui si cerca di capire come le oscenità si siano impossessate del nostro modo di comunicare: la conclusione è a sorpresa assolutoria, l’imprecazione ha un suo scopo sociale e insultare una persona evita di canalizzare la rabbia in modi più gravi.

La parola colorita può imporsi anche in contesti più che formali: la cancelliera Angela Merkel parlando di una polemica ha usato pubblicamente la parola «Shitstorm» (tempesta di m…), appena ammessa anche nell’autorevole dizionario Duden, che registra i mutamenti della lingua tedesca.

«L’uso in politica di termini “giovani” è uno stratagemma per sembrare meno distanti, più alla mano», osserva Covacich. «Ma in realtà, quello che in ambito letterario può essere funzionale al tratteggio di un personaggio, nel colloquio di tutti i giorni è una caduta rispetto alla proprietà di linguaggio».

Anche nei salotti, cartina di tornasole del buon conversare, si prende nota dei cambiamenti. «Colpa dell’uso improprio della tecnologia: difficilmente vengo compresa quando dico “mi rincresce” a un adolescente, persino se educato al collegio Mondragone o al Lycée Chateaubriand!», nota Marisela Federici, animatrice di un noto circolo di conversazione. «Solo in Toscana ancora resiste l’italiano gentile ma paradossalmente un delizioso “ti garba?” viene confuso con una formula dialettale e buffa». Assicura che le bastano pochi minuti per scoprire un eloquio sciatto dietro una facciata contemporanea e efficace. «Certe persone sono come un grande pacco: si toglie un fiocco, poi una velina, poi un incarto, poi ancora una velina, alla fine dietro al loro bla-bla non rimane che una misera sorpresa».

Già nel 2010 lo Zingarelli denunciava l’estinzione di quasi 2.800 lemmi delle 120 mila parole presenti nel dizionario. Agiato, madido, ineffabile, ceruleo, blando: parole che secondo il curatore Mario Cannella potrebbero ancora essere in uso, ma di fatto stanno diventando desuete col rischio di andare perdute. Un linguaggio opportunista, figlio dei tempi, ma non così diverso da quello del passato: così il presidente dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini invita alla cautela nel decretare la morte di un linguaggio a favore di un altro.

«Indagini come quelle di Google spesso non tengono conto della diversità delle fonti: la lingua del ’500 per esempio, ci è nota attraverso chi all’epoca scriveva libri, per la maggior parte religiosi, che sicuramente avevano un vocabolario ricco di parole come “pietà”, “umiltà” e “grazia”», osserva lo studioso, che rintraccia nei media e nelle molteplici fonti la causa della propagazione di certe espressioni aggressive e individualiste. «Esistevano anche una volta, ma rimanevano nelle cronache municipali. Mica vorremo immaginare una strage degli Ugonotti fatta a suon di “grazie” e “prego”… chissà che parole sono volate anche allora!».

di Michela Proietti - Corsera
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  23:16 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



14 Lug 2013
Quando ho cominciato ad amarmi davvero
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che la sofferenza e il dolore emozionali
sono solo un avvertimento che mi dice di non vivere contro la mia verità.
Oggi so che questo si chiama
AUTENTICITA’
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito
com’è imbarazzante aver voluto imporre a qualcuno i miei desideri,
pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta,
... anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama
RISPETTO PER SE STESSI.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso
di desiderare un’altra vita e mi sono accorto che tutto ciò che mi circonda
é un invito a crescere.
Oggi so che questo si chiama
MATURITA’.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito di trovarmi sempre
ed in ogni occasione al posto giusto nel momento giusto e che tutto quello
che succede va bene.
Da allora ho potuto stare tranquillo.
Oggi so che questo si chiama
RISPETTO PER SE STESSI.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di privarmi del mio tempo libero
e di concepire progetti grandiosi per il futuro.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e divertimento,
ciò che amo e che mi fa ridere, a modo mio e con i miei ritmi.
Oggi so che questo si chiama
SINCERITA’.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato di tutto ciò
che non mi faceva del bene: cibi, persone, cose, situazioni e da tutto ciò
che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso,
all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo è
AMORE DI SE’
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
ho smesso di voler avere sempre ragione.
E cosi ho commesso meno errori.
Oggi mi sono reso conto che questo si chiama
SEMPLICITA’.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono rifiutato di vivere nel passato
e di preoccuparmi del mio futuro.
Ora vivo di piu nel momento presente, in cui TUTTO ha un luogo.
E’ la mia condizione di vita quotidiana e la chiamo
PERFEZIONE.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero,
mi sono reso conto che il mio pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho chiamato a raccolta le energie del mio cuore,
l’intelletto è diventato un compagno importante.
Oggi a questa unione do il nome di
SAGGEZZA DEL CUORE.
Non dobbiamo continuare a temere i contrasti,
i conflitti e i problemi con noi stessi e con gli altri
perché perfino le stelle, a volte, si scontrarno fra loro dando origine
a nuovi mondi.
Oggi so che QUESTO è LA VITA!
Grazie a Nicoletta Todesco
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  23:23 | aggiungi commento | commenti presenti [1]



27 Giu 2013
La maturità non vale una pizza
Insegna italiano in un istituto tecnico della periferia romana ed è commissaria interna agli esami di maturità. Da quando ha ricevuto quella telefonata, le si è rovesciato il mondo. «Professoressa? Sono il padre di Andrea». Uno dei suoi maturandi migliori. Un adolescente caparbio che per tutto l’anno si è diviso fra lo studio e il lavoro in nero ai tavoli di una pizzeria. «Professoressa, la chiamo per la maturità di mio figlio...». «Non si preoccupi, Andrea la supererà senza problemi». «E’ proprio questo il punto… Ho bisogno che lei me lo bocci».



La prof ha abbozzato un sorriso. In tanti anni di onorata carriera aveva dovuto fronteggiare ogni genere di richieste da parte dei genitori. Ma un padre che ti chiama a casa per chiederti di bocciare suo figlio non le era mai capitato. Si trattava chiaramente di una battuta… «Non sto scherzando, professoressa. La pizzeria ha detto ad Andrea che può assumerlo in pianta stabile grazie alla nuova legge sul lavoro: però le agevolazioni valgono solo per i ragazzi senza diploma». La prof ha deglutito: «Lei mi sta chiedendo…» «… di aiutare mio figlio. Il diploma potrà sempre prenderlo l’anno prossimo». Così la prof ha cominciato a covare in solitudine il suo dubbio amletico. Fare il proprio dovere e promuovere Andrea, trasformandolo in un disoccupato? O bocciare un ragazzo meritevole per consentirgli di ottenere il posto? Consapevole che in questo caso boccerebbe anche se stessa, accettando il principio che l’insegnamento a cui ha dedicato la vita non rappresenta più un vantaggio, ma un handicap? Ci sarebbe da diventare pazzi, se non lo fossimo già.
Massimo Gramellini-La Stampa
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  10:20 | aggiungi commento | commenti presenti [1]



24 Giu 2013
Si vince per quel che si sa
.Un ingegnere fu chiamato a riparare un computer molto grande ed estremamente complesso, un computer del valore di 12 milioni di dollari.
Sedutosi di fronte allo schermo, premuti alcuni tasti, annuì, mormorò qualcosa tra sé e lo spense.
Pres...e un piccolo cacciavite dalla tasca e girò a metà a una piccola vite. Poi accese di nuovo il computer e scoprì che funzionava perfettamente.
Il presidente della società fu felice e si offrì di pagare il conto sul posto.
- Quanto le devo? chiese.
- Viene mille di dollari, se non vi dispiace.
- Mille dollari? Mille dollari per un paio di minuti di lavoro? Mille dollari, semplicemente girando una piccola vite? Io so che il mio computer costa 12 milioni di dollari, ma mille dollari è un importo pazzesco! Pagherò solo se mi invia una fattura dettagliata a giustificare perfettamente questa cifra.
Il tecnico annuì e se ne andò.
La mattina dopo, il Presidente ricevette la fattura, lesse attentamente, scosse la testa e procedette a pagare, senza indugio..
La fattura diceva:
Servizi offerti:
-Serrare una vite ............................Dollari 1
-Sapere quale vite serrare .............Dollari 999
Per i professionisti che ogni giorno affrontano il disprezzo di coloro che per la loro stessa ignoranza non riescono a capire.
RICORDA --- " Si vince per quel che si sa, non per quel che si fa"
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  09:46 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



14 Giu 2013
Consigli inattuali per la maturità
Se Freud fosse stato italiano avrebbe dedicato gran parte del suo trattato sull’interpretazione dei sogni all’esame di maturità.

La sogniamo per tutta la vita, al contrario di altri esami che dimentichiamo un mese dopo averli sostenuti. No, la maturità è incubo per la vita, un incubo capace persino camaleonticamente di aggiornarsi. Se un tempo sognavo di dover sostenere l’interrogazione di matematica al posto di quella di greco (la mia maturità era quella da due materie con i commissari esterni), recentemente ho sognato che dovevo sostenere l’interrogazione di greco con la fu ministra Fornero che, di fronte al mio mutismo, stizzita mi garantiva che avrei pagato più tasse.

L’esame di maturità: un incubo multiforme, proiezione e sintesi di mille altre paure che si sedimentano nei meandri dell’inconscio sotto forma sognata di cangiante commissione inquisitoria e di sempre e comunque fatale inadeguatezza del candidato. Non c’è via di scampo, non ci sono consigli che vi salveranno da quest’esame. Ve la farete sotto, almeno un poco. Ed è giusto così.

Sì, perché non se ne può più di consigli per lenire la sofferenza fisica e psichica quasi si trattasse di un orrore. Quella sofferenza, quella paura, sono giustificate. Perché? Perché si tratta del primo vero serio esame della vita. E la vita è dolce e amara, altrimenti annoierebbe.

Non vi darò consigli su come allentare la tensione: tisane oppiacee, ore di sonno calcolate da algoritmi salutisti, trucchi per suggerire degni del miglior illusionista. Queste cose le sapete prima più e meglio di me. Ogni generazione ha trovato i suoi stratagemmi per superare queste Scilla e Cariddi senza lasciarci la pelle, lo scafo magari sì, ma la pelle no.

Il consiglio è uno solo ed è inattuale: studiate.

Studiate meglio e più che potete.

Preparate la tesina come un vero e proprio capolavoro, come se doveste scolpire la Pietà michelangiolesca.

E non fatelo per il voto o per fregare la commissione.

Fatelo per voi, per essere all’altezza di 13 anni di studi che vi hanno portato fino a lì e – si spera – vi trampolineranno nel futuro.

Fatelo per i vostri genitori che per 13 anni vi hanno seguito e hanno sofferto con voi, sobbarcandosi colloqui, ansie, paure e solenni incazzature.

Fatelo per i vostri insegnanti, quelli bravi, quelli che in questi 13 anni vi hanno dato qualcosa che non dimenticherete e che voi avete l’obbligo gioioso di restituire.

E ricordate il verso di Shakespeare che ho usato come motto per la maturità dei miei ragazzi: “Quando l’anima è pronta, allora le cose sono pronte”.

Ma gli incubi li avrete lo stesso.

GRAZIA, 14 giugno 2013
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  16:36 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



5 Giu 2013
Robert Dilts e la sua evoluzione della PNL
Robert Dilts è uno dei maggiori esponenti della PNL a livello mondiale. È stato per un lungo periodo studente e collega di Richard Bandler e John Grinder (creatori della PNL) e ha studiato personalmente con Milton Erickson e Gregory Bateson.
Oltre agli studi sulle applicazioni della PNL nella formazione, leadership, salute, creatività, Dilts ha contribuito moltissimo all’evoluzione della PNL con i suoi lavori eccezionali sulle “Strategie” e sulle “Convinzioni”. Robert Dilts è autore di numerosi bestseller internazionali non solo riguardo alla Programmazione NeuroLinguistica, ma anche su coaching, public speaking, creatività, salute, apprendimento e leadership.

In passato è stato consulente di aziende internazionali quali la Apple e la Telecom. I top manager si rivolgono a lui per potenziare le competenze di leadership dei propri dirigenti con il metodo “alpha leadership” (dove “alpha” sta per “primo”).
Nel 1982 ha fondato il Dynamic Learning Center, e nel 1991 la NLP University in California, dove tiene corsi di PNL e continua il suo lavoro di ricerca. Negli ultimi anni è venuto diverse volte in Italia e i suoi seminari sono sempre affollatissimi.


Da anni Robert Dilts studia la “fenomenologia del genio” e ha messo a punto una teoria in grado di riconoscere i modelli di comportamento ricorrenti in questo tipo di persone.
L’idea di fondo è che la genialità non è una dote unica e irripetibile, ma un modo di pensare e di agire che può essere emulato (o meglio “modellato”).
Naturalmente non si arriva ad affermare che chiunque può diventare come Mozart o Caravaggio, ma scoprire le nostre doti, quello possiamo tranquillamente farlo.
Ecco la definizione di PNL nel sito di Robert Dilts:

“La PNL è un processo multidimensionale che coinvolge lo sviluppo di competenze comportamentali e di flessibilità, ma include anche il pensiero strategico e la comprensione dei processi mentali e cognitivi che stanno dietro al comportamento. La PNL fornisce strumenti e abilità per stati di eccellenza individuale, ma riguarda anche la scoperta di se stessi, l’esplorazione della propria identità e missione. Fornisce anche un quadro di riferimento per comprendere e relazionarsi con la parte spirituale dell’esperienza umana che si estende, al di là di noi come individui, alla nostra famiglia, comunità e sistema globale. La PNL non riguarda solo la competenza e l’eccellenza ma anche la saggezza e la visione.”
Ecco alcuni metodi suggeriti da Robert Dilts per iniziare una “nuova vita”:

Diventare più disponibili e creare feeling con gli altri e soprattutto con se stessi
migliorare sia le relazioni personali che professionali
Essere maggiormente in grado di gestire situazioni difficili con più eleganza e facilità
Aumentare l’energia, la creatività e la volontà di migliorare
Costruire una solida base per il miglioramento e il successo in tutti i settori della vostra vita
Approfondire la capacità di autentica empatia e compassione
Vivere con amore, gratitudine e pienezza la vostra vita e le relazioni
Nella PNL Robert Dilts ha sviluppato 6 livelli logici (o livelli neurologici):
1. L’AMBIENTE
Il primo livello è quello dell’ambiente, del contesto nel quale ci evolviamo o delle costrizioni interiori. E’ dunque importante raccogliere l’informazione: dove, quando, con chi desideriamo raggiungere il nostro obiettivo?
2. IL COMPORTAMENTO
Si tratta delle azioni che mettiamo in atto nel nostro ambiente. Questo termine può essere allargato ai comportamenti “interni” o mentali, che sono l’anticipazione dei nostri comportamenti esterni.
Il comportamento rinvia alla domanda: Cosa? E più esattamente: cosa fare?
3. LE CAPACITA’
Sono le competenze e il saper-fare che impieghiamo per acquisire e mettere in opera i nostri comportamenti. Costitutiscono un livello molto importante. Uno dei presupposti della PNL è che noi possediamo delle “risorse”.
Si potrebbe anche dire che possediamo delle capacità e, tra queste, la capacità di imparare è la più essenziale perchè condiziona anche le altre.
A livello di capacità la domanda è: Come fare? Che risorse utilizzare?
4. LE CREDENZE E I VALORI
Una credenza è un’affermazione personale che noi riteniamo vera. I valori sono ciò che consideriamo importante per noi. Le credenze guidano la percezione che abbiamo di noi stessi, degli altri e del mondo in generale. Le nostre convinzioni hanno un’influenza determinante sulle nostre capacità. Le credenze e i valori riportano alla domanda: perché?
5. L’IDENTITA’
La rappresentazione che ciascuno ha di se stesso influenza tutti gli altri livelli logici. Noi mettiamo in discussione comportamenti, capacità, valori e credenze, misurandole attraverso la domanda: “è coerente con quello che sono?” La domanda è: Chi?
6. La SPIRITUALITA’ (o MISSION): per chi e per che cosa?
Che senso ha la mia vita? (significato profondo) Per quale motivo sto al mondo?



Concludo con alcune citazioni di Robert Dilts:
“Attraverso le parole ognuno di noi può dare a qualcun altro la massima felicità oppure portarlo alla totale disperazione.
Le parole giuste al momento giusto possono creare effetti importanti e positivi. Sfortunatamente le parole possono anche confonderci e limitarci con la stessa facilità con cui possono renderci più capaci.
Per avere successo le persone hanno bisogno di cambiare le convinzioni limitanti nella convinzione di poter sperare nel futuro, di essere capaci e responsabili, ed un senso di autostima e di appartenenza.
Le convinzioni limitanti qualche volta operano come un “virus della mente” ed hanno una capacità distruttiva simile a quella di un virus dei computer o biologico.”
Robert Dilts, dal libro Il potere delle parole e della PNL

Raffaele Ciruolo

 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  11:06 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



18 Mag 2013
La leadership è diventata dolce
Ragazzi di oggi e leader di domani.. c’è una buona notizia: la leadership è diventata “dolce” !
I modelli autoritari, la manipolazione, l’arroganza, l’arrivismo, i prepotenti.. ormai sono fuori moda, superati, obsoleti.
In ogni scuola, in ogni libro di management, in ogni istituzione, il modello riconosciuto è quello di una nuova figura di manager e leader, sicuramente più evoluta, anche se ancora “rara” da incontrare negli uffici delle aziende.
Umanità, empatia, ascolto sono le qualità oggi più apprezzate e riconosciute come vincenti, fino a spingersi all’ “amore” considerato come l’arma più forte anche nel contesto lavorativo (vedi il recente testo: “L’amore è la killer App!” di Tim Sander, chief solutions officer di Yahoo!).
Strano vero?
Però è così: competenze e conoscenze sono e rimangono importanti, ma ciò che fa la differenza sono, e saranno sempre più, le qualità umane della persona: il resto è in qualche modo sostituibile o “automatizzabile”: sentimenti e valori invece rimangono esclusiva del singolo e ne costituiscono a pieno titolo la personalità unica e originale.

Ai giovani che si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro ecco allora 7 consigli utili per essere leader fin da subito:
• essere se stessi: meglio un autentico indeciso che un falso sicuro di sé, meglio un sincero “non lo so” che una falsa ostentazione di conoscenza presto smascherabile, meglio esprimere una reale preferenza piuttosto che un generico “mi piace tutto” per essere certi di non contraddire un superiore. Quando siete voi stessi in qualche modo la vostra autenticità e umanità raggiunge gli altri e le lacune, se ci sono, potranno facilmente essere perdonate. Quando siete voi stessi siete in realtà al massimo del vostro potenziale!
• essere umili: non significa essere sottomessi, ma semplicemente essere consci dei propri limiti e non avere paura di mostrarli, anzi fare leva su di essi per essere disponibili e aperti ai consigli, per non temere di chiedere aiuto ai propri referenti e responsabili. Tutti, un giorno, abbiamo iniziato e tutti all’inizio abbiamo commesso errori e non sapevamo muoverci. Umiltà significa rispetto ed è segno di grande maturità
• essere curiosi: non guardate solo al vostro lavoro, la curiosità di conoscere quello che accade intorno, nel resto dell’azienda e fuori dall’azienda; conoscere prima ancora di contattarle, capire cosa producono che servizi offrono, chi sono i clienti, il mercato.. curiosità è segno di un’intelligenza fresca e viva. Internet è un ottimo mezzo per conoscere e curiosare. Ma anche curiosi e voraci di letture, curiosi delle persone che vi circondano, delle culture diverse dalla vostra…
• condividere la conoscenza: all’inizio sarete riconoscenti verso chi sarà disposto a condividere con voi la propria conoscenza, maturata con anni di esperienza. Imparate fin da subito a condividere la vostra con lo stagista arrivato dopo di voi: c’è ancora chi crede che trattenere le informazioni sia un trucco per restare indispensabili all’azienda, per non “farsi rubare” i meriti, ma in realtà chi non condivide finisce isolato e presto inutile.
• essere responsabili: non è necessaria nessuna carica aziendale per essere responsabili. Potete essere responsabili del vostro lavoro dal primo giorno imputando a voi stessi e non agli altri (colleghi, capi, azienda, clienti) i vostri risultati, quelli del vostro reparto e anche quelli dell’azienda. Assumersi la responsabilità di un errore, di una decisione, di una proposta di miglioramento, di far funzionare meglio le cose, di capire e di agire. Questo significa anche accettare le critiche e sbagliare, ma sempre presuppone un atteggiamento attivo. Le persone che si “muovono” sono responsabili!
• coltivare relazioni positive: gli altri sono la cosa più importante! Coltivate relazioni positive con colleghi clienti e superiori: vi aiuterà sempre nel vostro lavoro. Questo non significa “arruffianarsi” il capo, significa piuttosto tenere in alta considerazione gli altri, essere disposti ad aiutare il collega anche se questo non è a vostro diretto vantaggio nel conseguimento degli obiettivi, significa essere aperti all’ascolto e alla comprensione delle difficoltà altrui, anche quelle dei propri superiori.. e ne hanno sempre tante!
• sviluppare la crescita personale: avete studiato fino adesso e solo ora forse incomincia la vostra crescita personale: non sarà più aula, non saranno più esami scolastici, ma sicuramente saranno libri, corsi, esperienze. L’obiettivo è quello di conoscersi sempre meglio per realizzare la vostra professionalità e personalità in un lavoro che vi assomigli, che sia in linea con le vostre aspirazioni ed i vostri valori, che vi consenta di esprimere al meglio i vostri magici talenti, quali essi siano!
Il nuovo modello di leadership dolce, affermato in tutte le aule di management, deve tuttavia ancora diffondersi nelle situazioni lavorative e questo è un vostro compito! Non sarà facile: dovrete convivere con qualche manager della vecchia guardia e toccherà a voi dare l’esempio positivo.
E allora, cari nuovi manager e nuove leader, il futuro è vostro, rendetelo migliore!
managerzen
 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  12:56 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



7 Mag 2013
La realtà esiste?
Recenti studi scientifici hanno dimostrato come le cose che vediamo, sentiamo, proviamo, siano in realtà mediate dal cervello e non esistano come realtà oggettive all’infuori di noi. Il cervello agisce quindi come un emulatore di realtà, restituendo una sensazione a uno specifico stimolo che viene da fuori. I colori sono l'interpretazione che il nostro cervello fa di particolari informazioni provenienti dalla retina; i suoni sono l’interpretazione delle vibrazioni dell'aria provocate dalle onde sonore; il tatto è una sensazione legata alla deformazione, pressione, espansione, temperatura.
Tutti questi frammenti di realtà sono processati in modo da ottenere un’unica immagine cognitiva. Per restituirla in tutte le sue sfaccettature, ogni area del cervello si occupa dell’analisi di un dato specifico: alcune parti analizzano il colore, altre il movimento, altre ancora il peso o la risposta tattile. Questi input modificano lo stato funzionale di grandi aree come il talamo e la corteccia e i loro collegamenti creando sensazioni che, verificate attraverso la consapevolezza e i riferimenti condivisi, danno infine luogo alle emozioni.
Conoscere il cervello e le sue dinamiche rappresenta un’evoluzione verso la conoscenza di noi stessi e degli altri, una strada per migliorare il nostro rapporto con il mondo.
 
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postato da  Claudio Maffei alle  17:54 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



29 Apr 2013
C’e’ un mago in ognuno di noi, che vede e conosce tutto
C’e’ un mago in ognuno di noi, che vede e conosce tutto.
Published on February 15, 2012, in La Visione Alchemica.


Cercalo e trovalo: questo e’ lo scopo della tua vita. Osserva il mondo con innocenza, come un bambino, perchè è l’unico modo grazie al quale il mondo ha vita. I tuoi occhi danno vita a tutto cio’ che vedono.

Sii testimone vigile del tuo tempo. A volte costruiamo, senza rendercene conto, delle barriere tra noi e la realtà. Anche se non è facile, bisogna trovarle e abbatterle. Nomi, etichette e definizioni sono limiti che ci sono imposti. Molti di questi limiti appartengono solo al nostro corpo: ma noi siamo molto di più. Dai più ascolto ai tuoi dubbi. Dietro ognuno di essi si nasconde un granello di coscienza e di consapevolezza, che ti aiuta a capire chi sei veramente.

Metti da parte l’egoismo e i ricordi negativi che ti allontanano dagli altri. Cerca di dimenticare le vecchie immagini. Svegliati ogni giorno e guarda tutto e tutti in maniera nuova. Il più raffinato dei lavori si realizza nel puro silenzio. Ogni attimo fuggente di silenzio, senza pensieri, desideri e sentimenti, è un faccia a faccia con noi stessi.

Finché avrai paura, non potrai amare veramente. L’amore dev’ essere scoperto, liberato dagli starti di paura, ira ed egoismo che lo incrostano. Dedica un po’ di tempo, ogni giorno, alla conoscenza di te stesso. Fermati ed osserva il contenuto della tua mente. Sebbene molto semplice, questo è uno dei passi più potenti verso il cambiamento.

Non farti imprigionare mai dai ruoli che ti hanno (o che ti sei) dato: figlio, fratello, sorella, maschio o femmina, medico, avvocato, prete. Cerca di essere fedele solo a te stesso.

Tu sei il mondo. Se trasformi te stesso, anche il mondo in cui viviamo sarà trasformato. Non inseguire la perfezione. Il discepolo incespica sempre, ma non cade mai. Accetta l’incertezza. Mantenersi nelle certezze significa vivere entro dei confini. Le cose di cui ci sentiamo sicuri hanno, in realtà, nuove qualità da mostrare. Una forza universale mantiene in equilibrio ogni cosa. Siamo tutti soggetti alla natura e dobbiamo avere fiducia. Cerca sempre l’altra faccia dei disastri e delle perdite. Se vuoi sentire l’amore come lo sente Dio, devi riempire ogni tuo vuoto. Si può amare solo in uno stato di pienezza.

Immagina un avvenire perfetto, il migliore che tu possa desiderare. Non agire mai sulla base di rabbie passate, ma dei desideri per il futuro. Cerca la tua vera natura, e non trascurare nessun indizio. Ogni volta che un indizio viene riconosciuto, la vita ha sempre qualcosa in più da offrire.

Sii paziente con te stesso: il bene o il male lottano dentro di te, e ci vuole tempo per ritrovare la propria unità. Il denaro non ha valore spirituale: non e’ mai stato, e non lo sara’ mai, la porta del paradiso.

Apprezza la vita. E’ dalla sua silenziosa accettazione che arriva l’energia.

Deepak Chopra

 
Generale
postato da  Claudio Maffei alle  10:41 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



19 Apr 2013
Motivazione
Dal momento che lavorare bisogna, è meglio fare un lavoro che piace. Questa affermazione può sembrare banale, non tutti nella vita riescono a fare l’astronauta, lo scrittore, il calciatore. I più devono accontentarsi di un impiego che non si sono scelti e che sicuramente non rappresentava l’obiettivo ottimale. Tuttavia, anche costoro, i più, possono lavorare in tranquillità, in serenità ed essere motivati. Questo è il compito della comunicazione interna, una strategia aziendale volta a coinvolgere le persone, ottenendo il massimo consenso sugli obiettivi conseguiti, la massima responsabilità individuale, la massima partecipazione nelle azioni comuni. La comunicazione interna è il risultato del dialogo che chi lavora in un’azienda ha con i propri colleghi. Essa riflette il come l’impresa è percepita, pensata e interiorizzata da tutti gli addetti. Tutta l’impresa è coinvolta in questo processo, tutti dovrebbero essere sensibilizzati. Tutti i dipendenti, infatti, dal management agli operatori, in misura più o meno complessa, contribuiscono al raggiungimento dei fini e degli obiettivi aziendali costituendo autentici, e viventi, veicoli di comunicazione. Una corretta politica di comunicazione nei loro confronti consolida il senso di appartenenza all’azienda, favorisce atteggiamenti e comportamenti che incidono poi positivamente sull’immagine dell’organizzazione stessa. E non solo sull’immagine, anche e soprattutto sulla reale efficienza organizzativa! Tuttavia, per fare ciò bisogna mettersi in una dimensione di ascolto; infatti non si possono giudicare le persone senza conoscerle. A volte lo si fa solo attraverso un curriculum o alcuni dati statistici. Non è dai numeri che si giudica una persona, ma soltanto ascoltando le sue ragioni sarà possibile allargare a dismisura gli elementi di giudizio. Heidegger diceva che il silenzio è la condizione per ogni tipo di comunicazione, che il silenzio è all’origine dell’ascolto. Questo significa che forse oggi abbiamo esagerato, che forse il top management dell’azienda è talmente preso a comunicare da non avere più il tempo per ascoltare. Invece è proprio attraverso un censimento meticoloso delle aspirazioni, delle attitudini e delle motivazioni dei singoli che si creerà un nuovo sistema di valori, comprendendo che il più grande valore che appartiene alla gente è la soluzione dei suoi problemi. Nelle aziende, troppo spesso, ho sentito parlare dei problemi e quasi mai delle loro soluzioni. Maria Ludovica Varvelli, grande psicologa e consulente di organizzazione, dice: “Ciò che contraddistingue un’organizzazione di successo non è il fatto di non avere problemi, ma è il fatto di non avere più quelli dell’anno scorso”. E, soprattutto, aggiungo io, l’azienda non è e non può essere più importante delle persone, poiché è fatta dalle persone che la vivono ogni giorno e, senza di esse, non esisterebbe neppure.

Il saggio non si espone al pericolo senza motivo, poiché sono poche le cose di cui gl’importi abbastanza; ma è disposto, nelle grandi prove, a dare perfino la vita, sapendo che a certe condizioni non vale la pena di vivere. Aristotele
 
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postato da  Claudio Maffei alle  16:12 | aggiungi commento | commenti presenti [0]





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