16 Lug 2014
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Lettere: se la legge vuole in cella i giornalisti "abusivi" | |
Chissà, sarà in un sussulto di dignità che il sito ufficiale della Federazione nazionale della stampa, ultima scheggia brezneviana sopravvissuta al tracollo dell'89, ha deciso di nascondere lo sconsiderato elogio della legge grottesca e liberticida che stanno cuocendo in Parlamento.
Con l'appoggio dell'Ordine dei giornalisti, istituito da Benito Mussolini ed ereditato, caso unico nel mondo dell'Occidente libero, nella Repubblica antifascista, si sta proponendo un avvitamento di manette a danno di "chiunque abusivamente eserciti" la professione di giornalista "per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato": il reo verrebbe "punito con la reclusione fino a 2 anni e con la multa da 10 mila a 50 mila euro". Non sono previsti umilianti riti di autocritica in appositi istituti per la riabilitazione ideologica e morale del nemico del popolo (sinora, ma non si può mai dire). È una legge semplicemente pazzesca. La si può prendere con ironia, come fa Carola Parisi sulla testata giornalistica online L'ultima ribattuta immaginando questa scena in un carcere già vergognosamente sovraffollato: "Come mai siete dentro?" "Io spaccio". "Io ho rubato una macchina". "Io non ho superato l'esame da giornalista". O con sgomento. E constatare in quale scarsa considerazione sia tenuta la libertà di stampa e di opinione per chi non dispone di un tesserino vidimato dallo Stato e con quanta ferocia corporativa si voglia tenere dall'informazione e dalla scrittura lontani gli esclusi, chi non fa parte della categoria controllata, chi non viene ritenuto degno di pubblicare e osa sfidare il monopolio della corporazione. Il carcere per chi scrive "abusivamente": ma vi rendete conto dell'enormità? E se un giorno, a legge liberticida approvata, qualcuno volesse pignolamente applicare le nuove norme, che fanno, si presentano a casa di un freelance, del collaboratore di un blog, per mettere ai ceppi un "abusivo"? E non c'è bisogno di essere entusiasti di You Reporter per capire che non si può trattare un sito come un covo di delinquenti. E non c'è bisogno di essere super-liberali, ma solo di avere un po' di buon senso, per capire che non si può essere così rozzi, grossolanamente autoritari, per indicare il carcere come punizione di un giornalista "abusivo". Tra l'altro è semplicemente ridicolo accostare, come indica la legge, i giornalisti "abusivi" ai medici "abusivi" o agli ingegneri "abusivi". Chi entra con il bisturi in sala operatoria spacciandosi per chirurgo, o chi costruisce ponti proclamandosi ingegnere è un criminale pericoloso. Chi fa del giornalismo senza essere iscritto all'Ordine, in un regime pluralistico dove le fonti di informazioni sono tante e diverse, non fa male a nessuno. E non sarà certo un timbro dello Stato, comunque, a neutralizzarne l'eventuale pericolo. Ma il buon senso scarseggia, le corporazioni sono aggrappate al loro monopolio e la libertà di opinione non sembra un valore forte. Questo è il vero pericolo. Pierluigi Battista - Corriere della Sera |
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7 Lug 2014
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Le dieci categorie umane più insopportabili di Facebook | |
Sempre più italiani passano ore e ore sul più amato dei Social, ma purtroppo Facebook è frequentato anche da pessimi soggetti. Pedofili a parte, ecco un elenco delle tipologie più noiose o moleste.
10. Il Luddista Si lamenta in continuazione di Facebook, scrivendolo su Facebook. Del resto chi mai leggerebbe le sue invettive tecnofobe se le vergasse con la stilografica sulle amatissime Moleskine? Il luddista è un hipster che si sposta con costose biciclette a scatto fisso, un poser che porta i Ray-Ban Wayfarer anche se ha dieci decimi e colleziona vinili che non scarta neppure dal cellophane. È sempre in procinto di abbandonare i Social ma non lo fa mai, e il suo idolo è quell’idiota di Into the wild che è morto di diarrea in un bus sperduto dell’Alaska. 9. L’Esibizionista e il Dongiovanni L’esibizionista la riconosci subito dalle foto più o meno svestite, più o meno fotoritoccate, più o meno provocanti. E dall’immancabile bocca a piccione (duckface per gli anglofoni). Il suo regno è il bagno in cui si scatta ogni giorno innumerevoli selfie da condividere su FB, Twitter, Instagram e Tumblr. Fidanzata o meno, l’esibizionista è patologicamente affamata di like e follower. Non le basta essere bella, ha bisogno di qualche centinaio di adolescenti adoranti e segaioli che glielo dimostri quotidianamente. Il Dongiovanni è il suo corrispettivo maschile, ma più che i Mi piace cerca rapporti sessuali mordi e fuggi (gli uomini, si sa, sono più concreti). La sua foto profilo classica è quella con gli addominali tartarugati e l’abbronzatura esagerata anche il 25 dicembre. Frequentateli a vostro rischio e pericolo, ma sappiate che l’esibizionista è quasi sempre una figa di legno e il Dongiovanni spesso è tutto fumo e niente arrosto. 8. La Polyanna La Polyanna è la versione moderna del dottor Pangloss del Candido. Per lei viviamo nel migliore dei mondi possibili. E se accadono terremoti, epidemie o pestiamo una merda è solo in nome di uno sconosciuto “bene superiore”. La riconosci dalle citazioni di Fabio Volo, Paulo Coelho o Papa Francesco (che per lei pari sono) e dalle foto di località bellissime, che può vedere solo in cartolina. Il suo ottimismo irrazionale inciterebbe chiunque a compiere una strage: ma secondo voi può essere sana di mente una persona che vi augura “Buon lunedì”? 7. La Coppietta Uni e bini, non esistono senza il proprio partner. Nelle foto profilo si sbaciucchiano oppure indossano ancora l’abito del matrimonio. Magari hanno addirittura un profilo comune. In ogni caso ci tengono a precisare che sono “fidanzati ufficialmente” (ma che vuol dire? hanno depositato un atto registrato presso un notaio?) o peggio ancora sposati. Passano il tempo scambiandosi pubblicamente messaggi sdolcinati e cornificandosi di nascosto. Più nauseanti di una canzone di Gigi D’Alessio. 6. L’Animalara La sua ragione di vita è proteggere gli animali (rompere le balle agli umani). Sta su Facebook unicamente per spammare continui appelli all’adozione, raccolte fondi e campagne di boicottaggio. Prova un sadico gusto nell’appestarvi la bacheca con foto di animali straziati da incidenti stradali o di vivisezioni risalenti agli anni Venti. Perennemente arrabbiata (probabilmente per la cronica insufficienza alimentare) ha una visione disneyana della natura (dove anche i leoni sono vegani), preferirebbe lasciar morire vostro figlio di morbillo pur di vaccinarlo o impedire i test medici sugli animali e nutre un odio smisurato per il genere umano, che è “cattivo” mentre gli animali sono “buoni”. Quasi sempre donna e senza figli, giovanissima oppure zitellona over-40. 5. L’Artista L’artista sui Social è per definizione incompreso. Del resto se fosse un artista di successo mica perderebbe tempo su Facebook o Tumblr. Lo riconosci al volo perché ha impostato come secondo nome “Pittore”, “Scrittrice” o “Attore”. Giusto per mettere in chiaro che non è un noioso borghesuccio come voi, anche se in realtà per campare consegna pizze a domicilio o si fa ancora mantenere dai genitori a quarant’anni suonati. È sui Social unicamente per promuovere (spammare) l’ultimo libro di poesie stampato a pagamento o l’ennesima recita nella sala parrocchiale. E ovviamente per lamentarsi del pubblico, che preferisce giocare a Call of Duty o vedere Breaking Bad piuttosto che comprare i suoi capolavori. Da evitare come la peste. 4. Il Complottista LO RICONOSCI SUBITO PERKE’ IL TASTO DELLE MAIUSCOLE SULLA SUA TASTIERA È BLOCCATO DAL 1995 E PER LA FOBIA VERSO IL CH (cosa faccia poi di tutti quei minuti risparmiati scrivendo ke al posto di che è ancora un mistero per i ricercatori di mezzo mondo). Quasi sempre maschio, cresciuto a botte di Voyager e Mistero, è convinto che ogni male del mondo sia dovuto ai “gomblotti” degli Illuminati/Rettiliani riuniti nel malefico Club Bilderberg. Che le scie chimiche ci stiano avvelenando. Che i vaccini facciano male e Stamina invece bene. Che tutti i giornali dicano il falso e le bufale dei blog invece no. Che la biowashball e le stampanti 3D elimineranno il buco nell’ozono e la fame nel mondo. Il suo font preferito è il Comic Sans e il grido di battaglia è FATE GIRARE!!!1!!!11!!! 3. Il Lagnoso Medaglia di bronzo. Lo riconosci subito perché non fa altro che lagnarsi in continuazione di tutto e tutti. Si lamenta perché non ha il lavoro o, se ce l’ha, perché non ha la ragazza. E se ha pure quella perché gli amici o i genitori lo trattano male o perché fa troppo caldo o fa troppo freddo o non fa né caldo né freddo. Queste persone tristerrime che si lamentano 24 ore al giorno sono frutto di una civiltà basata sul vittimismo come la nostra, dove la gente può permettersi di starsene sdraiata tutto il giorno sul divano invece di andare a zappare i campi per procurarsi un po’ di cibo. A prima vista può ispirare anche compassione (se avete la sindrome delle crocerossine), ma la sua depressione è inguaribile e molto contagiosa. 2. Lo Stalker Pericolosissimo, la sua unica missione è rovinarvi la vita. Perché? Mistero. Per un motivo qualsiasi siete entrati nel suo mirino e adesso vi perseguiterà all’infinito. Forse è il vostro ex o forse non gliel’avete data. Forse vi invidia profondamente o magari – come indicano alcuni studi scientifici – è semplicemente un sociopatico sadico e anaffettivo alla continua ricerca di vittime da aggredire (di solito deboli, perché lo stalker nella vita reale è un codardo). Discutere con questi soggetti è completamente inutile e controproducente. Bloccatelo e, se serve, denunciate tutto alle autorità competenti. La vita è troppo breve per perdere tempo e salute appresso a un troll. 1. Il Cinico Ed ecco il peggiore di tutti. Il cinico è la vera star dei Social e il tipo umano in assoluto più detestabile. I suoi idoli (inconfessati e inconfessabili) sono Andrea Scanzi e Selvaggia Lucarelli, la sua missione criticare l’universo mondo. Ogni giorno cerca un nuovo bersaglio da attaccare e di solito trova sempre parecchia gente che asseconda i suoi linciaggi quotidiani, perché il mondo è pieno di rosiconi che godono nello spruzzare fango addosso al prossimo. Più grosso è il bersaglio meglio è, l’ideale sono totem apparentemente intoccabili come Gandhi, Roberto Saviano o La Grande Bellezza. Il cinico è una persona profondamente invidiosa del prossimo e molto narcisista. All’inizio il suo sarcasmo nichilista può essere divertente, ma dopo un po’ diventa ripetitivo e insopportabile, proprio come Scanzi e la Lucarelli. Lo riconosci perché prima o poi scrive una lista come questa. Valentino G. Colapinto |
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30 Giu 2014
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Le Qualità che servono per essere un bravo Blogger | |
Spesso mi si chiede “ma come si fa a diventare un bravo blogger?”, oppure “In quanto tempo posso ottenere ottimi risultati?“. Bene per rispondere a queste ed ad altre domande simili, è forse il caso di delineare quelle che possono essere alcune delle qualità per essere un bravo blogger. Molto spesso vedo naufragare progetti solo perchè i risultati non sono arrivati in poco tempo (pochi mesi o addirittura poche settimane), non è così che funziona. Aprire un blog oggi è sicuramente importante per costruire al meglio il proprio percorso di “Personal Branding”, per il fatto che questo è lo strumento principe attraverso il quale si può costruire un insieme di contenuti per tema che ci permettono di presentarci meglio e di specificare meglio le nostre competenze e conoscenze. E poi è rintracciabile nel tempo, cosa affatto non da poco. Nella mia esperienza ho elaborato alcuni accorgimenti che possono essere utili per essere davvero un bravo blogger, prima di tutto serve quello che io di solito chiamo il “Fattore PMD“, lo so è poco musicale, ma sta per Passione, Metodo e Determinazione.
Senza Passione non si può essere Blogger e questo vale in qualsiasi campo voi vogliate agire; se non si ha un Metodo, allora si rischia di procedere a tentativi disperdendo risorse; e poi serve molta Determinazione, perchè la strada è lunga, ma il risultato alla fine di questa è certo. Ma ci sono altra qualità che servono per essere un bravo blogger e proviamo a vederle insieme: Una volta presa la decisione di aprire un blog, serve assolutamente specificare bene l’argomento che volete trattare, allora serve “essere precisi” e se possibile scegliere un argomento di nicchia, vi aiuterà molto. Vi capiterà di sicuro qualche notte insonne per scegliere il tema giusto, forse anche più di una, ma non vi preoccupate. Guardate alle vostre passioni, a ciò che davvero vi interessa davvero e vedrete che riuscirete a trovare il vostro argomento. Una volta scelto l’argomento che volete trattare, vi trovate di fronte la strada della creazione dei contenuti. Allora avete due modi per affrontare questo primo vero ostacolo: 1 – dotarvi di un piano editoriale che possa darvi il sentiero da seguire, sempre; 2 – se vi sentite intrappolati dal primo metodo, allora provate a seguire il vostro istinto, date libertà al vostro scrivere. Vedrete, in questa fase tutto filerà liscio, ma poi dopo un po’ ritornerà forte l’esigenza di dotarvi di un piano editoriale. Non è necessario essere professionisti della scrittura per essere un bravo Blogger. Certo, è necessario scrivere bene, questo sì, ma non spaventatevi, date piuttosto sfogo alla vostra voglia di scrivere, il resto verrà da sè e potrete correggere i vostri errore, le vostre imperfezioni strada facendo. Una volta che avete iniziato e avete intrapreso il vostro cammino, non dimenticate di guardarvi indietro ogni tanto, vi servirà per capire quello che state facendo e di aggiustare meglio il tiro del modo in cui state comunicando. E continuate sempre a scrivere, questo non deve mancare mai. Ricordatevi di mostrare sempre chi siete, la vostra genuinità, il vostro essere osservatori della realtà, il vostro essere obiettivi. Scrivete i vostri contenuti trasmettendo valore, informazioni, conoscenza. Cercate di attrarre i vostri lettori mostrando davvero chi siete, senza costruire inutili e dannosi orpelli. Infine, cercate davvero di capire cosa vuole la vostra Community. Un bravo blogger sa costruire attorno alla sua attività una propria community, ossia una rete di utenti che sono interessati a ciò che scrive. Bene, fate anche lo sforzo di andare incontro a ciò che vogliono i vostri lettori. Quindi, seguite le tendenze del tema che avete deciso di trattare all’interno del vostro blog, cercate di essere “sempre sul pezzo”, offrite dati freschi, numeri, se servono. In altre parole, dovrete diventare il punto di riferimento della vostra community. So che non è facile, ma queste qualità servono per essere un bravo blogger. Avendo però coscienza che i risultati non arriveranno subito, ci vorrà del tempo, la strada sarà lunga e insidiosa. Vi capiterà molte volte di chiedervi se siete sulla strada giusta e di voler abbandonare tutto. Ma voi continuerete, perchè siete determinati a farlo. E i risultati arriveranno. franzrusso.it |
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10 Giu 2014
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Testo integrale dell'ultima lezione di Randy Pausch ultima parte | |
Divertiti e mostra gratitudine
Il prossimo: è meglio che tu decida presto di essere “Tiger” o “Igor”. Tiger è energetico, ottimista, curioso, entusiasta e si diverte; e mai, mai sottovalutare l’importanza di divertirsi! Io sto per morire presto, e ho deciso di divertirmi oggi, domani e ogni altro giorno che mi rimane. Se vuoi realizzare i tuoi sogni, è meglio che giochi onestamente con gli altri. Un consiglio che è difficile seguire è dire la verità. Seconda cosa: quando sbagli chiedi scusa! Una buona scusa è formata da tre parti: 1. "Mi dispiace" 2. "Era colpa mia" 3. "Cosa posso fare per rimediare"? La maggior parte della gente salta le terza parte; è da questo che puoi capire chi è sincero. L’ultima cosa è che tutti abbiamo persone o cose che non ci piacciono. Io non ho mai incontrato persone che sono totalmente cattive. Se aspetti a sufficienza, ti mostrano il loro lato buono. Non puoi affrettare la cosa, ma puoi essere paziente. Mostra la gratitudine: quando raggiunsi i dieci anni come membro della facoltà, avevo ragazzi nel mio laboratorio di ricerca e li portai una settimana a Disneyworld a mie spese. I miei colleghi mi dissero: "Ti sarà costato un sacco; perché l’hai fatto?". Risposi: "Questi ragazzi hanno lavorato per me giorno e notti per anni e grazie a loro ho ottenuto il miglior lavoro della mia vita. Quindi, perché non avrei dovuto farlo?" La gratitudine è una cosa molto semplice e potente. Ultima cosa: non credo che preoccuparsi di tutto risolva veramente i problemi. Questo è Jackie Robinson, il primo giocatore nero della Lega Maggiore, e nel suo contratto c’era scritto che non doveva lamentarsi se la gente gli sputava addosso. Non importa se sei Jackie Robinson, o uno come me che ha ancora pochi mesi da vivere. Puoi scegliere se sfruttare il tempo che ti rimane per energia e sforzo, o spenderlo preoccupandoti, o spenderlo giocando il gioco duro che probabilmente ti aiuterebbe di più. Vi ho detto che questa era una parte della conferenza dell’Università, ed è importante perché ho tenuto questa conferenza. La conferenza non parla soltanto di come raggiungere i sogni d’infanzia. È molto più che questo, è come vivere la tua vita, perché se tu vivi la tua vita nella maniera corretta, i risultati si prenderanno cura di loro da soli. I sogni verranno da te. ”Se vivi adeguatamente i sogni verranno da te". Sarebbe bellissimo se qualche persona traesse beneficio da questa conferenza, ma la realtà è che io non ho tenuto questa conferenza per le quattrocento persone venute all’Università. Ho tenuto questa conferenza soltanto per tre persone, perché quando saranno grandi possano vederla. Grazie." Randy Pausch |
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postato da Claudio Maffei alle 23:42 | aggiungi commento | commenti presenti [0] |
30 Mag 2014
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Testo integrale dell'ultima lezione di Randy Pausch seconda parte | |
L'importanza di avere buoni genitori Quali sogni volete realizzare? Ve ne suggerisco uno: avere buoni genitori! Io ho dei grandi genitori. Questa è mia madre nel suo settantesimo compleanno. Io sono quello sulla macchina blu e sono appena stato doppiato. Questo è mio padre nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Viveva sempre con un sentimento di felicità, sempre. La felicità è un sentimento che dovrebbe mai andarsene. Mio papà: che uomo incredibile! Ha fatto la Seconda Guerra Mondiale, fece parte della Grande Generazione. Tristemente mio padre è morto un anno fa, e fu quando mia madre frugò nelle sue cose che scoprì che durante la Seconda Guerra Mondiale ricevette una medaglia di bronzo al valore. In cinquant’anni di matrimonio, non la mostrò mai. E’ un grande messaggio di umiltà che ho potuto imparare da mio padre. Ora mia mamma: le madri sono quelle persone che ti amano anche quando le tiri i capelli. Questo è il tipo di relazione che ho avuto con mia madre. E parlando di umiltà, lei era sempre li a mantenere in ordine. Quando mi stavo laureando a scuola, avevo esami veramente duri. E me ne stavo a casa preoccupandomi di quanto dure fossero le prove per il dottorato. Mia madre mi diceva: "Sappiamo come ti senti. Ricorda solo che alla tua età tuo padre stava combattendo contro i tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale!". Il giorno in cui mi laureai era molto orgogliosa, e mia mamma mi presentava a tutti dicendo: "Questo è mio figlio! È un dottore, ma non di quelli che aiutano la gente". Probabilmente una delle cose più importanti che i miei genitori fecero, fu che mi lasciarono dipingere le pareti della mia camera da letto. Un giorno dissi loro che volevo dipingere le cose sulle pareti e loro dissero: "Ok!". Dipinsi una nave spaziale; vivevamo in un ranch e misi un ascensore per vedere dove mi avrebbe portato; potete vedere che fossi un secchione, misi un’equazione quadratica. Ma la cosa grande fu che me la lasciarono fare. Pensarono che lasciare che io esprimessi la mia creatività fosse più importante di avere una parete pulita. Fui davvero benedetto ad avere genitori che la pensassero così. I miei genitori mi insegnarono a rispettare le persone più delle cose. Quando comprai la mia auto ero molto emozionato, brillava incredibilmente. Questi sono i miei nipoti Christopher e Lara. Ogni mese li portavo via per un week-end per dare respiro a mia sorella e suo marito. E prima di salire sulla mia auto nuova mia sorella continuava a dirgli: "Questa è l'auto nuova dello zio Randy. Mi raccomando, non sporcatela, ecc.". E loro scoppiarono a ridere, perché nel frattempo io alle sue spalle avevo aperto una lattina e la stavo rovesciando incurante sui sedili posteriori. Lei corse verso di me gridandomi: "Cosa stai facendo?!" Le dissi: "È una 'cosa', soltanto una 'cosa'". Ne fui molto orgoglioso perché alla fine della settimana mentre stavamo tornando a casa, mio nipote si sentì male e vomitò tutto sui sedili posteriori della mia auto; e non mi importa quanto valore potesse avere una cosa pulita e brillante, perché non è paragonabile a quanto mi sono sentito bene sapendo di non aver fatto sentire in colpa un bambino di otto anni solo perché aveva il raffreddore. |
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postato da Claudio Maffei alle 23:03 | aggiungi commento | commenti presenti [0] |
23 Mag 2014
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Testo integrale dell'ultima lezione di Randy Pausch | |
Se c'è un elefante nella stanza, è meglio presentarlo
"Vi parlerò di una conferenza che ho tenuto a settembre. Nell’Università di Carnegie Mellon, c’è una tradizione accademica chiamata “Last Lecture”: se ipoteticamente sapessi che stai per morire e dovessi tenere un’ultima conferenza, cosa diresti ai tuoi studenti? Per me la cosa non è ipotetica. C'è un elefante nella stanza: avevo sconfitto un cancro al pancreas, ma ora è tornato dopo operazioni, chemioterapia, radiazioni. I medici mi hanno detto che non c’è più niente da fare e che ho solo qualche mese di vita. Queste sono le mie T.A.C. e mostrano che il cancro pancreatico si è espanso al fegato con una decina di tumori. A me questo non piace. Io ho tre bambini piccoli, sia chiaro: mi fa schifo. Ma non posso fare niente per evitare il fatto che morirò. Sto seguendo i trattamenti medici, ma so benissimo come andrà a finire questo film. E non posso controllare le parti della storia solo muovendo le mani. Se non vi sembro abbastanza triste per la mia situazione, me ne scuso. Ma ho deciso di non essere oggetto di pietà. Infatti anche se sto per morire presto, sono molto forte fisicamente. Probabilmente più forte della maggior parte delle persone che sono in questa sala. Vivere i sogni dell'infanzia Quindi oggi non parleremo della morte, parleremo della vita e di come viverla. Nello specifico, di sogni d’infanzia e come fare per realizzarli. Posso dire di aver avuto un’infanzia felicissima. Riguardando gli album fotografici devo dire che non sono riuscito a trovare una foto in cui non stessi ridendo. Ho avuto un’infanzia veramente felice. Io sognavo, sognavo sempre. Era un tempo facile per sognare. Quando tu accendi la TV e vedi degli uomini atterrare sulla Luna, tutto è possibile, e non dovremmo mai perdere questo spirito. Quali erano i miei sogni da bambino? Giocare nella NFL, la Lega Nazionale di Footbal. Questo è uno di quei sogni che ho realizzato. Ed è importante farlo notare perché anche se non riesci a realizzare un sogno, puoi ottenere molto tentando di realizzarlo. C’è un detto che adoro: “L’esperienza è quella che ottieni, quando non ottieni quello che desideri”. Giocai in una lega per molto tempo. Avevo un grande allenatore, Jim Gram. Era un allenatore alla vecchia maniera, e mentre ci allenavamo mi rimproverava per tutto il tempo: Così per tutte le due ore. E alla fine di un allenamento, uno dei suoi assistenti mi disse: "Coach Gram è molto duro con te!" io dissi. "Sì". Mi disse: "Quando fai un lavoro fatto male e nessuno te lo dice, vuol dire che si sono arresi con te; quando qualcuno continua a correggerti per due ore, lo fa perché ci tiene che tu lo faccia meglio". Il prossimo sogno è “Walt Disney Imagineering”. Quando avevo otto anni, la mia famiglia mi portò a Disneyland, in California. Fu un’esperienza incredibile: le passeggiate, gli show, le attrazioni. Mi dissi: "Wow, mi piacerebbe costruire cose del genere quando sarò grande!". Così mi laureai e cercai di fare parte del gruppo di persone che crea la magia. Quello che ottenni fu un’amabile lettera di rifiuto. Guardo questa lettera tutt’ora, dà una tale ispirazione! Queste cose passano, lavorai duro e diventai un giovane ingegnere di ricerca visuale nella mia facoltà. Questo sono io. Sviluppai le abilità che erano valide per Disney, e trovai l’opportunità di lavorare lì e far parte del gruppo di immaginaria dove lavorammo nella “Passeggiata sul tappeto magico di Aladino”. Mi portò via più di quindici anni per farlo e moltissimi tentativi. Imparai che quando un muro si presenta sul nostro cammino è per una ragione; non è lì per impedirci di fare qualcosa, ma perché noi possiamo mostrare quanto vogliamo quella cosa. Continua... |
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postato da Claudio Maffei alle 23:45 | aggiungi commento | commenti presenti [0] |
11 Mag 2014
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Felicità(tra balle presunzioni e cotillons) | |
Presunzioni perchè sto probabilmente esternando un momento di privata onniscenza... Balle perchè probabilmente so tutte stronzate... Cotillons ve lo spiego dopo..!! Una cosa è certa... Parlare di Felicità non è mai sufficiente, poichè è inequivocabilmente la cosa da raggiungere più appetibile per ognuno di noi... E parliamo allora: Cos'è praticamente la felicità:Secondo me è il raggiungimento dell'equilibrio tra lo star bene dentro e fuori... Molto molto praticamente..!! Non è mai duratura, poichè ogni equilibrio non può durare a lungo... Troppi sono i fattori che accompagnano la nostra vita, che contribuiscono a spezzarlo, magari quando meno te lo aspetti..!! Si vive felici, quando non si hanno desideri, in quanto si ritiene di avere tutto ciò di cui si ha realmente bisogno... Ma è condizione rarissima. un po' poichè il non desiderare, contrasta efficacemente con la natura umana... Ma sempre perchè l'accontentarsi, si sposa bene col concetto di dover comunque rinunciare... E non è quindi l'accontentarsi, l'elisir della felicità.. Potremmo dire in breve che basterebbe riuscire a vivere, nel modo che si ritiene giusto per se stessi?? Gia è meglio, perchè il vivere una vita scelta è cosa piacevolissima... Al netto contrapposto è il vivere una vita imposta... E quando si parla d'imposizioni, si può svariare in qualsiasi campo dell'umano scibile. Conclusione la felicità esiste, ma per un tempo limitato... Bisogna goderne finchè si può... Altro tipo d'infelicità è quello di non riuscire a fare quanto magari si vorrebbe, per la felicità degli altri... Spesso però è letteralmente impossibile, quanto estremamente appagante... Esempio pratico...:Io non regalerei la mia vita per niente e nessuno... E non sarei nemmeno capace d'un gesto eroico, che potrebbe annientarla... La ritengo un bene troppo prezioso, che non si può donare.. Forse per un figlio... Forse si... Ma lo ritengo sempre più facile dirlo, che farlo.. Però quando vedi, o percepisci la sofferenza degli altri, la voglia di far qualcosa contribuisce comunque al raggiungimento del maggior grado della tua felicità. E... I cotillons?? I cotillons son scherzo, ed ironia... Componenti che stazionano in un punto molto alto dell'arco della felicità... In conclusione, ritengo che dare una definizione certa alla felicità, sia impossibile... Un qualcosa di genericamente indefinibile, perchè troppo personale.. Forse si è felici nei momenti in cui si sorride... Ma è troppo riduttivo.. Forse ha più senso dire che si è felici nel quando si riesce a percepire in toto il propio sorriso... E concludo con il detto di uno buono:Vivi malinconico anche sempre, triste mai..!!
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1 Mag 2014
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la potenza delle emozioni | |
Le emozioni sono qualcosa di antico, potente, universale e inafferrabile.
Tu chiamale, se vuoi, emozioni, cantava l’indimenticabile Lucio Battisti nei primissimi anni Settanta ma di che roba è fatta un’emozione? Oggi sappiamo che si tratta di un complesso sistema di risposte istantanee, in parte innate e in parte acquisite culturalmente, a uno stimolo esterno o interno (per esempio, un ricordo). Sappiamo che le risposte sono in parte fisiologiche (cuore e respiro che cambiano ritmo, peli che si rizzano, tremore, rossore…) e in parte cognitive: questo riguarda il modo in cui interpretiamo lo stimolo e gli strumenti che abbiamo per farlo. Per esempio, la nostra reazione a un rumore improvviso nella notte cambia molto se sappiamo già di che si tratta o no. E ancora: la nostra risposta emotiva a quella che riteniamo essere una dichiarazione offensiva cambia in relazione al fatto che abbiamo le risorse necessarie per reagire argomentando, o che l’unica cosa che sappiamo fare sia mollare un cazzotto. E ancora: una parte delle risposte emozionali riguarda i cambiamenti di postura, di voce (risposte espressive) e, infine, il comportamento: per esempio, fight or flight, cioè attacco o fuga. Sappiamo che le emozioni fanno parte del nostro corredo evolutivo, che hanno funzione adattativa (ci permettono di interagire meglio con l’ambiente) e che sono fondamentali per la sopravvivenza: e poi, diciamolo, una vita del tutto priva di emozioni non sarebbe vita. Sappiamo che tutto ruota attorno all’amigdala, la parte rettiliana del nostro cervello, e che c’entrano ormoni e neurotrasmettitori come la dopamina, la serotonina, l’ossitocina. Per esempio l’ossitocina – definita l’”ormone dell’amore e delle coccole”, quello che stimola l’attaccamento tra madri e figli, la generosità e la fiducia e riduce lo stress – è connessa con le relazioni sociali: favorisce il riconoscimento dei volti e potrebbe aiutare a ridurre i disturbi legati all’autismo. Uno spray all’ossitocina potrebbe dunque rendere migliore il mondo? Forse, ma non ne siamo sicuri: possibili effetti negativi sono ancora sotto indagine. Sappiamo che anche gli animali provano emozioni, e che queste sono – ma solo nei loro tratti fondamentali – transculturali. Sappiamo infine, che le emozioni, anche se condivise nei loro elementi fondamentali, restano risposte soggettive: ciascuno, cioè, si emoziona alla sua maniera, e al medesimo stimolo due diversi individui possono rispondere in modo differente sia per qualità sia per intensità provando, per esempio, una rabbia irrefrenabile o una blanda tristezza. Per questo le emozioni sembrano sfuggire le descrizioni troppo nette e sono così difficili da catalogare e da comunicare. E poi, quando si tratta delle nostre, ci sembrano sempre più autentiche, più intense, più nobili e giustificabili di quelle degli altri (anche perché, oplà, qualche volta basta cambiargli nome: per esempio, si può chiamare “legittima indignazione” quella che non è altro che rabbia cieca). Rabbia e paura, gioia e tristezza, sorpresa e attesa, disgusto e accettazione: queste sono, secondo il medico e psicologo Robert Plutchick (e non solo secondo lui) le quattro coppie di emozioni primarie, che possono a loro volta mescolarsi in cocktail di emozioni più complesse, con diversi livelli di intensità. Plutchick ha anche costruito una ruota delle emozioni che ci permette di cogliere le relazioni tra l’una e l’altra: suggestivo, per esempio, il fatto che “amore” faccia capo a un’area che comprende serenità e accettazione, gioia e fiducia, estasi ed ammirazione. Creatività, apprendimento e sfera emozionale sono connesse? Sì, e da mille fili, alcuni piuttosto aggrovigliati. Per esempio, se è vero che emozioni positive possono accrescere la capacità creativa (c’entra, ancora una volta, l’amigdala), è anche vero che emozioni negative possono essere forti catalizzatori per la creatività. Anche (ma non solo) per questo conviene saperne di più. Dunque, prometto di riprendere l’argomento tra qualche giorno. Intanto: quanto frequentate le vostre emozioni? Ce n’è una che percepite come dominante in questo periodo, e qual è? Annamaria Testa |
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21 Apr 2014
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Storytelling aziendale: cos’è e come può migliorare l’immagine del tuo brand | |
Perché le storie sono innate nell’uomo: dalla notte dei tempi gli uomini si tramandano i racconti, le memorie, le esperienze passate, prima attraverso le storie orali, poi anche figurative, fino a giungere ai video in tempi recenti.
L’autoanalisi Anche le aziende, tutte le aziende, hanno una storia da raccontare, una propria identità che la contraddistingue dalle altre. Per meglio focalizzarla e narrarla, occorre innanzitutto che le aziende compiano un viaggio introspettivo, seguano un processo di auto-analisi, una riflessione su se stesse, per definire chiaramente la propria identità, per capire meglio i propri punti di forza e quelli di debolezza e per rilevare anche quali siano i bisogni espressi o inespressi degli interlocutori, per poterli così soddisfare mediante i propri prodotti o servizi offerti. La liquidità dell’identità Recuperata ed individuata la propria identità, occorre scendere a patti con il “diavolo”, ossia con il mercato in continua evoluzione, sempre più competitivo e fortemente frammentato, caratterizzato da un lato da un consumo bulimico, esasperato e sovrapposto dei media, dall’altro da persone che da “target” (a cui mirare per colpire) si trasformano in community, in “prosumer”, promotori-consumatori, che richiedono una comunicazione bidirezionale con le aziende e che, se soddisfatti, si trasformano in evangelizzatori, portavoce del prodotto o del brand presso i propri amici e conoscenti. Se insoddisfatti, invece, si possono trasformare in micidiali killer anche dei brand preferiti, in quanto detentori della potente “arma della viralità”. In questo contesto frammentato, l’azienda deve sapersi rivolgere in modo appropriato a ciascun pubblico, utilizzando narrazioni e canali diversi in base all’audience a cui si rivolge: deve pertanto imparare a dare alla propria identità una forma liquida, nel senso che deve essere in grado di mantenere invariata la propria storia, narrandola però in forme diverse, mirate, che si adattano alle diverse comunità a cui si rivolgono. Le aziende devono pertanto imparare a creare tante narrazioni all’interno della loro narrazione principale. Una continuità nel racconto della marca, coerente, lineare, che non crei confusione. Il veicolo transmediale La liquidità della personalità di un brand, la sua resilienza, deve emergere anche nella capacità di interpretare narrazioni diverse in base al canale scelto per veicolarle. Le aziende devono pertanto imparare ad utilizzare abilmente le piattaforme mediali: Facebook, Twitter, Pinterest, Youtube, il sito web, sono solo alcuni esempi di canali per comunicare con il proprio pubblico, ciascuno dei quali può veicolare meglio un aspetto dell’identità del brand. Si parla pertanto di cross-medialità di un brand, ossia, l’utilizzo in modo trasversale dei diversi mezzi di comunicazione (digitali e non), in quanto ciascuno di essi contribuisce in un modo originale allo svolgimento della storia globale del brand, creando un’esperienza di intrattenimento unica e coordinata (come le singole tessere di un puzzle, uniche ma in grado di generare complessivamente uno stupendo quadro finale). L’arte di coinvolgere le emozioni Affinché il racconto di un brand sia in grado di differenziarsi dalle altre narrazioni, deve essere traboccante di personalità, deve saper incuriosire, coinvolgere e connettersi emotivamente con i consumatori, destando sensazioni forti (come paura, felicità, sorpresa, meraviglia) e facendo leva su valori ed ideali condivisi e condivisibili dai suoi interlocutori. Deve essere in grado di coinvolgere emotivamente l’audience, immergendola e travolgendola nella storia stessa. Le storie, infatti, hanno il grande potere di attrarci, di coinvolgerci: si pensi ad un film del genere che più ci piace. Quando lo guardiamo, ci caliamo noi stessi nel film, ci identifichiamo con i protagonisti fino a viverne le loro emozioni. Come accade in un film, pertanto, chi ascolta la narrazione del brand deve riconoscersi in questa storia, deve seguire lo stesso percorso narrato, deve poter assorbire gli stessi valori, vivere le stesse sensazioni e uscire dal racconto trasformato dalla narrazione stessa. Un’attenzione particolare poi deve essere riposta nel linguaggio, che deve prediligere una terminologia semplice, di tutti i giorni, diretto e familiare, in grado di veicolare meglio il senso di condivisione delle emozioni proposte. E’ così che il Brand entra in relazione con la sfera emotiva del suo pubblico, creando un forte legame “di pancia” tra il consumatore e un prodotto, o un’azienda. Riflessioni finali Il Brand narrativo sarà pertanto in grado di fare la differenza, specie in un mercato colmo di messaggi e contenuti; sarà la molla che indurrà le persone a scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Le persone, infatti, filtreranno sempre di più le informazioni disponibili, saranno sempre meno attente ad alcune forme di messaggio, orientandosi verso prodotti con i quali condividono una storia, verso ciò che è in grado di suscitare in loro più emozioni, con i quali si identificano di più, in quanto si tratta di un brand che ascolta la sua audience, che risponde ai suoi bisogni ed è in grado di mutare alcune sfaccettature della propria personalità, per corrispondere meglio alle esigenze rilevate. Il Brand, la storia del Brand, la sua unicità, il modo in cui viene raccontato si trasforma quindi un valore economico aziendale, in quanto in grado di generare ciò che è stato definito “capitale narrativo” (cit. Andrea Fontana). Simona Tovaglieri |
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postato da Claudio Maffei alle 10:32 | aggiungi commento | commenti presenti [0] |
11 Apr 2014
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Come preparare un Discorso da Oscar | |
Sì lo ammetto, sono stata folgorata dalla Grande Bellezza.
Ciononostante rassicuratevi: in questo post non intendo certo parlare del film; voglio invece trarre spunti di riflessione dall’asciutto ringraziamento che Sorrentino ha pronunciato alla consegna degli Oscar. Il suo, è stato un discorso diretto all’essenza: essenza pura. I molti “grazie”, doverosi, sono partiti in primis per l’Academy, per poi procedere all’indietro verso i produttori e gli attori, le sue fonti d’ispirazione (ha citato Federico Fellini, Talking Heads, Martin Scorsese e Diego Armando Maradona), Roma, Napoli, la sua “personale Grande Bellezza”(moglie e figli), fratelli e sorelle e, infine, i suoi genitori. Una sorta di indietro tutta all’origine. Dalle foglie alle radici. E Sorrentino stesso nel film fa dichiarare dal personaggio della Santa che: “le radici sono importanti”! Cosa c’è d’interessante in questo discorso da OSCAR, a fini professionali? Nella sua semplicità densa, o densità semplice, – come preferite – ci fornisce un modello per allenarci ai cosiddetti “elevator pitches”, anche detti “discorsi da ascensore”, ovvero quelli con cui ci si presenta per motivi professionali ad un’altra persona od organizzazione, con lo scopo di lasciare il segno in pochi minuti (immaginiamo appunto il tempo di salire con l’ascensore). A cosa possono servirci? A trovare lavoro, convincere della bontà di un progetto, fare colpo su qualcuno a livello professionale o personale, celebrare nel debito modo un proprio successo, come nel caso di Sorrentino. Vediamo meglio la tecnica usata. Sorrentino ha esordito con “Ok”, come a dire: “siamo qui – in situazione”, ma anche “negli USA” (fotografia attuale). Poi, senza alcuna retorica, e a tutta birra, è partito all’indietro. Da ottimo regista qual è, ci ha acciuffati velocemente e guidati – di nuovo – dentro una storia. La storia della sua storia. La storia che racconta la sua professionalità e il conseguente prodotto, premiato con l’Oscar. Nessun orpello o giustificazione: solo uno storytelling potente, asciutto, e traboccante di consapevolezza. Tale impostazione, oltre ad essere perfetta per una presentazione, è molto utile anche per un colloquio di lavoro e nella scrittura di un curriculum vitae. Sì, perché anche un Curriculum deve “raccontarci” partendo dalla fotografia attuale e andando indietro secondo una cronologia inversa. Inoltre, la cristallina lezione di Sorrentino, ci insegna anche quanto sia importante focalizzare pochi – ma importanti – aspetti che danno senso alla nostra storia e, più di tanto altro, la raccontano. Se si ha poco tempo a disposizione e occorre colpire il bersaglio, è fondamentale puntare sugli aspetti essenziali. Ma per fare ciò, occorre consapevolezza. Ed è questo il punto dolente. Spesso, siamo noi stesse le prime a non essere consce dei nostri punti di forza, di cosa ci contraddistingue, e non sappiamo dare loro il giusto peso. L’errore n. 1 è credere che parlare delle proprie passioni ed interessi non sia “inerente” o importante. Di conseguenza, la strategia adottata, e che riflette questa convinzione, ci porta a muoverci a caso, sparando nel mucchio, nel più generico ed inefficace modo possibile, anziché ricercare opportunità in linea con chi siamo, cosa ci piace, ci riesce bene, ci scalda il cuore e fa luccicare gli occhi. Andare alla radice, all’essenza, vuol dire invece: partire dal sé, perdere un po’ di tempo con noi stesse. Imparare a conoscerci. E poi, e solo allora, iniziare a ricamarci intorno. Creare…il lavoro. È fondamentale ripensare a cosa ci piace, ci ha ispirato – spesso negli anni giovanili. Sì perché è in quegli anni che scegliamo molte attività senza porci troppe domande, per il puro piacere o interesse a sperimentare in forma libera, o semplicemente perché, anche se nessuno ce lo ha mai insegnato, di fatto sentiamo di poterci provare. Alla gran parte di quelle capacità continueremo ad attingere, spesso senza accorgercene, lungo tutto l’arco di vita professionale. Si tratta di personali, specifiche, autentiche modalità di sentire e agire, che gli altri notano e ci riconoscono, nonostante noi tendiamo a dare per scontate o a tenere soffocate come dentro uno scrigno segreto di cui vergognarci. Le persone, o le esperienze che ci hanno più influenzato, possono arrivare inaspettatamente e, come Maradona per Sorrentino, non sempre appartenere al nostro stesso ambito professionale. Da quella modalità di giocarsi artisticamente la partita, che Maradona aveva, Sorrentino ha appreso un modello, un’abilità, un movimento che poi quantomeno lo hanno ispirato nella sua professione. Per la ricerca del lavoro è interessante seguire l’indicazione di Sorrentino quando spiega come occorre essere rispetto al cinema: “realisti, ricorrendo al massimo grado di invenzione possibile”. Realisti. Badate bene, non pessimisti. Essere realisti vuol dire osservare lucidamente la realtà. E per farlo occorre mappare, osservare, prendere informazioni, chiedere, essere curiosi (anche verso se stessi). Non vuol dire procedere a caso, senza strategia, senza un’idea di quante e quali siano le aziende potenzialmente interessanti per il proprio profilo. Non vuol dire indirizzarsi alle sempre troppo poche realtà aziendali di cui si è a conoscenza, quando intorno ce ne sarebbero molte di più. Non vuol dire basarsi solo sul passaparola, su quanto si sente dire dai media, su quanto pubblicato in rete. Di attività giuste per noi ce ne sono più di quanto immaginiamo, ma per scoprirle dobbiamo ampliare realisticamente la mappatura del mercato e conoscerci. Ricorrere all’invenzione. Sì perché è vero quando si sente dire che il lavoro bisogna crearlo. E perché non dovrebbe essere così? Sono io che lavoro, sono io che mi esprimo attraverso il lavoro, si tratta della mia vita. E quindi come potrebbe non trattarsi di un processo (sia nella ricerca che nella pratica) creativo e responsabile? Ci metto comunque del mio, anche se non me ne rendo conto. Non è cercando UN lavoro – uno qualsiasi – che si possono avere maggiori chance. È esattamente al contrario che vanno le cose. La Grande Bellezza non è piaciuto a tutti. Forse ha spaccato l’Italia proprio a metà. Ma di certo non è passato inosservato. Primo ottimo risultato. È un’opera d’arte. È il frutto di un processo creativo. C’è un mondo dentro o tanti mondi. Di certo c’è quello di Sorrentino e anche qualcosa di chi ne ha ispirato la personalissima visione. Partiamo dunque dalla nostra “grande bellezza”, la nostra unicità ed essenza! Tempo mai perso. Tempo sempre ottimamente investito. E se anche voi doveste in pochi minuti citare le vostre fonti di ispirazione od ossessioni giovanili da trasportare oggi nel vostro lavoro o nella ricerca del lavoro, sapreste indicarle? (Potete immaginare qualsiasi cosa, Sorrentino insegna ) Serenella Panaro |
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postato da Claudio Maffei alle 23:23 | aggiungi commento | commenti presenti [0] |
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