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19 Ott 2012
Noi siamo di più
Da oggi ho uno slogan nel cuore che vale più di tutti gli «Yes we can» del mondo. L’ho sentito fiorire sulle labbra di una ragazza napoletana, prostrata dall’assurdità di una sofferenza insostenibile. Si chiama Rosanna Ferrigno, fa la segretaria in uno studio medico e l’altra sera ha dovuto raccogliere sotto casa il cadavere del promesso sposo, crivellato dalla camorra con quattordici proiettili. I camorristi hanno confuso il suo Lino, che stava andando a giocare a calcetto, con uno di loro. La gratuità del crimine e l’estraneità della vittima hanno scosso l’abulia di una città che da troppi secoli sopporta la malavita organizzata come una forma endemica di malaria. Poi è arrivata Rosanna. Non ha pianto in pubblico, non ha insultato le istituzioni, non ha elargito finti e precoci perdoni. Ma l’amore e il dolore le hanno dettato parole decisive: «Non bisogna avere paura dei camorristi. Sono loro che devono avere paura di noi. Noi dobbiamo continuare a uscire per la strada a testa alta. Sono loro che si devono nascondere. Noi siamo di più».

Noi siamo di più. Non ci avevo mai pensato. Con tutti i nostri difetti - perché ne abbiamo a iosa, sia chiaro - noi siamo di più. Siamo di più dei mafiosi, dei corrotti, dei finanzieri senza scrupoli. Siamo più numerosi di qualunque minoranza coesa che cerchi di dominarci con le armi del potere e della paura. Averne consapevolezza, lo so bene, non basta. Ma è la premessa per svegliarsi dall’incubo e provare a trasformarlo in un sogno. Grazie, Rosanna, per avercelo ricordato.

Massimo Gramellini - La Stampa
 
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postato da  Claudio Maffei alle  08:50 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



12 Ott 2012
La generosità esiste ancora
Ieri è entrata in negozio una ragazza con tre amiche, futura sposa. Molto timida e di poche parole, ho fatto un pò fatica a capire quale tipo di abito volesse o forse non lo sapeva nemmeno lei. Ho tirato fuori alcuni abiti dall'armadio che mi sembravano adatti alla sua personalità poco appariscente, anche su consiglio delle amiche. Lei approvava o non approvava con il minimo delle parole, forse anche un pò emozionata. Ho pensato che non andassero bene gli abiti, ne ho tirati fuori due tra i più belli e quando ha indossato il primo le si è accesa una luce negli occhi... al secondo uguale, ma il secondo è il pezzo più bello che ho ed ha grande valore affettivo per me perché è incrostato con il pizzo originale con cui si è sposata la mia mamma nel '60. Lo aveva fatto produrre apposta per il suo abito e ne aveva tenuto un pezzo che mi ha regalato per farne un abito, quando finalmente ha accettato l'idea che io aprissi un negozio per spose. La ragazza ha capito che era un pezzo speciale, soprattutto affettivamente. Ha riprovato il primo, si è guardata ed è scoppiata in lacrime dicendo «è lui». Non era una scena da reality, ma vera, con le amiche commosse, io e la sarta che ci guardavamo senza parlare. Fino allora non aveva chiesto prezzi e io non li avevo detti, perché penso che anticiparli possa essere sgarbato, come a voler dire puoi permettertelo o no. A questo punto ho fatto i conti, le piacevano anche le scarpe e il velo che le avevo suggerito. Ho cercato di farle il miglior prezzo possibile, scontando tutto al massimo. Lei mi ha guardato è mi ha detto «è più del doppio del mio budget». Mi sono sentita morire. Ho rivisto i conti, li ho girati e rivoltati per cercare di guadagnare davvero il minimo dei minimi. Non riuscivo a trovare una via d'uscita. L'abito era uno dei più belli, il velo anche, le scarpe fatte a mano. Signore aiutami, questa ragazza non può uscire senza l'abito dei sogni. Le amiche in attesa, lei sul divanetto, io alla scrivania, la sarta con gli occhi bassi. Venga, Elena, non posso farla uscire senza l'abito dei suoi sogni, io arrivo fin qui, le va bene? Lei piangeva, sì, va bene - ha detto abbracciandomi - non ci speravo, sono felice ho appena perso il lavoro, ma il matrimonio era fissato. Ho aperto un prosecco, le ragazze applaudivano, mi pareva di essere in quelle trasmissioni idiote, ma ero felice. Il negozio ha avuto un pezzo di senso oggi.
Cristina

Grazie per il suo bel racconto. Da libro «Cuore» commenterà qualcuno. Evviva quel libro, allora, se ancora produce simili frutti. Porterà fortuna al suo negozio, penso, la storia del vestito di Elena.

Isabella Bossi Fedrigotti - Corsera


 
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postato da  Claudio Maffei alle  23:22 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



1 Ott 2012
Galateo: come comportarsi bene a tavola perdendo così tutto il meglio
La buona educazione a tavola. Durante la seconda metà del sedicesimo secolo il bon ton a tavola è stato codificato da Monsignor Giovanni Della Casa in un manuale che le mamme dovrebbero leggere ai bambini al posto delle favole: il Galateo. Nel tempo le rigide norme si sono ammorbidite e oggi, a casa, o in un ritrovo mangereccio informale, tendiamo a sorvolare sulle inflessibili prescrizioni del Monsignore.

Epperò, alcune delle regole a cui attenersi quando andiamo al ristorante, diciamolo, sfiancano più delle fatiche di Ercole. Il punto è che veniamo privati della possibilità di godere fino in fondo, un po’ come guidare una Ferrari col freno a mano tirato (ammesso che lo abbiano, lo hanno?). Ma vengo al dunque:

1) Bistecca.
E per bistecca intendo la Fiorentina, alla brace, cotta come Dio comanda (minuto di racoglimento). Con forchetta e coltello si arriva fino ad un certo punto, poi parte il dilemma: come si fa a fingere disinteresse per gli ultimi brandelli di carne, i più succulenti, quelli attaccati all’osso? Osso che, essendo fatto a T, presenta una certa difficoltà a farsi scarnificare fino agli angoli. Impossibile tentare di farlo con nonchalance, non resta che autocensurarsi e alla domanda del cameriere «posso portare via il piatto?» rispondere con un mesto «s-sì» e guardare verso l’alto nel tentativo di contenere le lacrime.

2) Scarpetta.
In origine vietatissima, oggi, in seguito ai tumulti della fazione pro, pare si sia aperto qualche spiraglio. Interdizione assoluta durante un pranzo formale, permessa solo in famiglia ma solo a certe condizioni: per alcuni si deve infilzare il boccone di pane con la forchetta, per altri prendendolo con due dita (e senza arricciare il mignolo), in ogni caso non si “puccia” mai più di una volta. Come dire, piuttosto frustatemi. Ma si può rinunciare senza atroci sofferenze al raschiamento dei rimasugli di sugo dal piatto a mezzo pane? Se uno proprio vuole si può, ma, cielo, che agonia.

3) Dolce.
È una tendenza condivisa quasi trasversalmente dai ristoranti, più o meno griffati, pià o meno stellati. Parlo dei ghirigori nel piatto del dolce. Per favore no! Non adagiate la mia fetta di torta su un vassoio formato disco volante e le eventuali salsine mettetele SOPRA, non mezzo metro più in là, altrimenti come frenare l’istintinto di ramazzare ogni goccia fino a togliere la maiolica dalle stoviglie?

4) Gamberi.
Terminato il contenuto del carapace restano le teste. Succhiarle o non succhiarle? Questo è il problema. Il Galateo suggerisce di non curarsi di loro, punto. La consapevolezza di quel che mi perdo dice di non curarsi degli sguardi stravolti dei camerieri, fregarsene beatamente del nostro contegno da signore e applicarsi alla suzione voluttuosa. Al solo pensiero mi sento impazzire. Risolvo evitando di ordinare gamberi.

5) Pesce intero.
Spesso, nei ristoranti vicino al mare, ci viene data la possibilità di vedere il pesce prima di ordinarlo. Tutto ciò è fantastico, o almeno, lo è fino a quando non ci portano al tavolo un bel pescione cotto al forno o alla brace, con la pelle croccante e il grasso ben grondante, chiedendo con tono suadente: «signora, glielo posso sfilettare?». Nooo! Il pesce è mio e me lo sfiletto io. Non togliete la pelle, non mi private dei bocconi migliori che sono nella testa, intendo guance, mascella, occhi. Lascia a noi l’incombenza. Tuttavia, poiché la meticolosa autopsia non è ben vista in pubblico, lascio fare e osservo i poveri filetti ormai freddi nel piatto senza più attrattive.

Dentro casa, al riparo da sguardi indiscreti, penetro l’osso della bistecca fino a ungermi le orecchie, pratico la scarpetta selvaggia, lucido il piatto del dolce con precisione esagerata, aspiro rumorosamente il contenuto dei crostacei e cerco anche l’ultimo brandello di muscolo facciale del pesce.

Solo dopo posso dormire il sonno del giusto. Capita lo stesso a voi?
Rossella Bragagnolo www.dissapore.com

 
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postato da  Claudio Maffei alle  21:16 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



20 Set 2012
Donare dà felicità
In una clinica, a un uomo era permesso mettersi seduto sul letto per un'ora ogni pomeriggio, per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo. Un altro uomo doveva restare sempre sdraiato. Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.
Ogni pomeriggio l'uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra. L'uomo nell'altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno.
La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto. Le anatre e i cigni giocavano nell'acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c'era una bella vista della città in lontananza. Mentre l'uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'uomo dall'altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena.In un caldo pomeriggio l'uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l'altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla.Con gli occhi della sua mente così come l'uomo dalla finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane. Un mattino l'infermiera del turno di giorno portò loro l'acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell'uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno.
L'infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò appropriato, l'altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. L'infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.
Lentamente, dolorosamente, l'uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno. Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto. Essa si affacciava su un muro bianco.
L'uomo chiese all'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra. L'infermiera rispose che l'uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro. "Forse, voleva farle coraggio." disse.
Epilogo: vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione. Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata. Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi e che il denaro non può comprare. L'oggi è un dono, è per questo motivo che si chiama presente.
 
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postato da  Claudio Maffei alle  16:08 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



11 Set 2012
Il decalogo del downshifting
Il downshifting è un comportamento sociale nel quale gli individui vivono vite più semplici per scappare dall'ossessivo materialismo, ed enfatizza il concetto dell'equilibrio fra dovere e piacere.

Associato al termine decrescita (la riduzione della produzione economica e dei consumi per un migliore equilibrio fra uomo e natura) e decluttering (l'arte di sbarazzarsi degli oggetti inutilizzati), il downshifting è un vero e proprio modus vivendi che va a toccare tutti gli ambiti della vita quotidiana e a ribaltarli rispetto alle abitudini di sempre.

Nella pratica, il downshifting enfatizza la necessità di rallentare il progresso e la corsa del mercato, e ridurre le spese, lo stress, le ore di lavoro, i consumi e gli sprechi, e costruire una società del risparmio, dell'attenzione e della consapevolezza, a partire dai singoli.

Per questioni economiche ma anche etiche, molte persone al giorno d'oggi hanno iniziato un processo di decrescita felice, modificando poco per volta il proprio stile di vita a favore di risparmio, riciclo e riuso, creatività e cultura.

Ecco quindi un decalogo per diventare un ottimo downshifter, secondo noi.

1- Accorciare le distanze: da dove proviene il cibo che consumiamo? Chi costruisce gli oggetti che acquistiamo? quanti km deve percorrere un prodotto prima di arrivare nelle nostre case? Accorciare le distanze tra produzione e consumo, in termini geografici e umani, significa valorizzare il proprio territorio prediligendo i prodotti della terra e dell'artigianato delle proprie zone. Acquistare direttamente dal produttore o tramite G.A.S. (Gruppi di Acquisto Solidale) può creare nuovi legami con la gente del proprio quartiere e far risparmiare, oltre che trovare alimenti di indubbia qualità, e quando possibile di stagione, biologici e quindi più saporiti e più sani.

2 - Autoproduzione: se un domani le industrie fossero bloccate da una qualsiasi ragione legata all'esaurimento del petrolio o alle guerre, saremmo in grado di autosostentarci con le nostre sole forze? O la tecnologia e il progresso ci hanno talmente riempiti di comfort da averci resi incapaci di costruire o coltivare qualunque cosa? Già negli anni Trenta e poi durante la Seconda Guerra Mondiale, l'America conosceva l'esperienza degli orti urbani, spazi pubblici o privati adibiti a orti per sopperire alla mancanza di cibo, dove ortaggi, piante mediche, frutta e fiori venivano coltivati per la comunità. Gli orti urbani sono una tendenza che sta di nuovo prendendo piede per svariate ragioni, tra cui quella del risparmio, ma anche la necessità di tornare alla terra e avere consapevolezza di ciò che si mangia.

3 - Ridurre le emissioni: come la famiglia che per un mese ha provato a rinunciare a auto e moto, e come tanti che all'alzarsi del prezzo della benzina hanno dovuto diminuire l'uso di mezzi a motore, optare per mezzi non inquinanti e non costosi permette di risparmiare, ridurre le emissioni, migliorare la mobilità urbana, cambiare i ritmi della propria vita.
Si dice inoltre che sulle brevi distanze la bicicletta vinca su tutti i mezzi, compreso il motorino.

4 - NO-Shopping: è quasi certo che possediamo già ciò di cui abbiamo bisogno e anche oltre. Quanti sono gli oggetti che possediamo ma che non utilizziamo? Riceviamo vera gratificazione dall'acquisto compulsivo? Evitare di comprare cose nuove ma sfruttare quelle che già si hanno, scegliendo la riparazione, il riuso, il riciclo o il baratto e la creatività, è una delle chiavi per contrastare la sfrenatezza del consumismo, risparmiare, e ridurre anche i consumi che conseguono (trasporti, inquinamento industriale e sfruttamento dei lavoratori).

5 - Lavorare di meno: una vita sostenibile è anche fatta di un buon equilibrio fra dovere e piacere. Spendere di meno significa avere anche bisogno di guadagnare di meno, no? La mania dell'accumulo, del guadagno, degli status symbol legati al dio denaro, privano le persone del tempo libero per sé e la famiglia, delle energie e della positività e generano, in casi estremi, situazioni d'ansia e stress che, nonostante gli alti guadagni, non rendono la vita più felice.

6 - Condividere: per risparmiare e anche per intessere rapporti nuovi, la condivisione può declinarsi in molti modi. Lo scambio di case per le vacanze, o la creazione di piccole comunità che si autosostentano e seguono un progetto comune (co-housing); la condivisione di mezzi di trasporto (car-sharing) per ridurre le spese, le emissioni e il numero di auto nelle strade; i G.A.S. di quartiere; gli Swap Party, eventi dedicati al baratto, e molti altri esempi sono la dimostrazione che la decrescita sia necessaria e utile al miglioramento della società e di chi ne fa parte.

7 - Risparmiare energia: è incredibile quanto si possa risparmiare sulle bollette anche solo spegnendo regolarmente tutti gli impianti in stand-by quando non utilizzati, ben il 10%. Ma non basta solo questo: luci e televisore accesi quando non necessari, lavatrice e lavastoviglie ad altissima temperatura, doccia lunga e bollente, sono abitudini sbagliate ma che molti di noi hanno, e che generano sprechi inutili di energia.

8 - Mangiare sano: e per "sano" intendiamo con bassissime quantità di carne e pesce, pochi latticini e grandi porzioni di frutta, verdura, legumi e cereali. Perché? Perché oltre che migliorare la salute, una dieta vegetariana o quasi riduce le emissioni, i consumi d'acqua, i rischi di malattie cardiovascolari, e le spese.

9 - Ridurre i rifiuti: avete mai provato a pesare i vostri rifiuti prima di gettarli? Quanto va nell'indifferenziato e quanto nella differenziata? C'è chi lo fa, e attraverso la consapevolezza che deriva dal sapere quanti chili di spazzatura si producono al giorno, si possono ridurre gli sprechi senza ridurre la qualità della propria vita. Anzi, ne trae giovamento anche la coscienza. E come si può fare per diminuire i rifiuti? Eliminare l'usa e getta, scegliere prodotti senza imballaggi, evitare di riempire troppo il frigorifero con cibi che spesso, in parte, poi si buttano, cucinare anche con gli scarti.

10 - Donare: se ci sono oggetti o abiti che non usate e che non siete riusciti a scambiare o a rivendere, fate una donazione alla Caritas o alle associazioni che raccolgono abiti e cibo per i poveri o gli sfollati. Svuoterete un po' i vostri armadi, creerete più spazio in casa, ma soprattutto aiuterete qualcuno senza il minimo sforzo.
avoicomunicare.it

 
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postato da  Claudio Maffei alle  10:28 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



3 Set 2012
Il saper insegnare e la fine dei maestri
Secondo la tradizione induista, richiamata da Carlo Maria Martini in un suo libro, esistono quattro età della vita: nella prima si impara, nella seconda si insegna, nella terza si riflette, nella quarta si mendica, preparandosi all’uscita di scena. In Italia abbiamo allungato la prima età, ignorato la terza e complicato la quarta. In quanto alla seconda, viene dimenticata. I maestri hanno preso congedo illimitato. Non parliamo di scuole, ovviamente. Lì i maestri e gli insegnanti ci sono (bravi e meno bravi, motivati e demotivati). Parliamo della trasmissione della saggezza; del piacere di aiutare chi viene dopo. Non si tratta soltanto di trasferire un’esperienza, ma di suggerire una prospettiva. Ogni volta che scompare un personaggio capace di questo sforzo la sensazione è forte e diffusa: se ne va un altro che aveva qualcosa da dirci. Il cardinal Martini, non c’è dubbio, apparteneva a questa categoria Altri trapassi, negli ultimi anni, hanno lasciato un vuoto. Vuoti diversi, per segno e profondità. Vuoti familiari e privati, spesso. Ma anche vuoti pubblici, avvertiti anche in un tempo superficiale come il nostro. Da Giovanni Paolo II a Steve Jobs, da lndro Montanelli a Enzo Biagi, da Lucio Dalla a Giorgio Gaber, da Giovanni Raboni a Fernanda Pivano, da Oriana Fallaci a Tiziano Terzani. Vuoti sacri e vuoti profani. Vuoti lasciati da persone imperfette, spesso. Accomunate però da una qualità misteriosa: la capacità di toccare il cuore, soprattutto nei più giovani. Non esempi, non necessariamente. Maestri. Non è un titolo che spetta a molti, anche perché pochi sembrano interessati a conseguirlo. Esiste uno speciale egoismo contemporaneo che ha preso forme accattivanti e guadagnato smalto. Qualcuno lo chiama individualismo; altri, realismo. Molti teorizzano la necessità di viziarsi, di salvaguardarsi, di pensare a sé. «Fatevi le coccole» è una delle più fastidiose espressioni pubblicitarie degli ultimi anni: le coccole si fanno ai bambini e a chi si ama, non a se stessi. Esiste l’onanismo del cuore, anche se non ne parla nessuno. I maestri di cui abbiamo bisogno non fanno coccole: offrono aiuto sotto forma di azione e pensieri. Indicano una via e la illuminano: può essere una scala verso il cielo, se uno crede Quelli falsi «L’enorme domanda ha portato un’offerta vasta e insidiosa. La parodia del carisma può ingannare chi cerca e ha fretta di trovare» Quelli veri «Quelli veri non fanno coccole, offrono aiuto sotto forma di azione e pensieri. Indicano una via e la illuminano» all’aldilà o ai Led Zeppelin; o soltanto un passaggio sicuro nel bosco delle decisioni difficili. I maestri non chiedono niente in cambio: la loro ricompensa è nella possibilità di dare, e nel sentirsi utili. Ci sono rischi, ovviamente. L’enorme domanda di maestri ha portato a un’offerta vasta, varia e insidiosa. La parodia del carisma può ingannare chi cerca e ha fretta di trovare. Psicologi e i filosofi trasformati in santoni; spericolati improvvisatori new-age; sacerdoti che posano da guru; gruppi e sette che dispensano dal pensare e, nel calore del gruppo, addormentano le coscienze. Anche la penuria di leader politici ha pesato (abbiamo i partiti privatizzati, ma è un’altra cosa). Non si chiede al capo di un partito di diventare un guru; ma di offrire ispirazione e speranza, questo sì. Trovare i propri maestri è un’operazione delicata. E bene procedere con cautela, senza informare neppure gli interessati. Notate il plurale: anche in questo campo, è bene infatti diversificare gli investimenti per ridurre il rischio. Rischio di delusioni, rischio di tradimenti, rischio di plagio. Al di fuori delle questioni di fede, è bene scegliere con un po’ di ironia. I buoni maestri non si prendono troppo sul serio; non si capisce perchè dovremmo farlo noi. Scegliamo con cura i nostri maestri, quindi. Sostituiamoli se ci deludono, non adoriamoli mai e giudichiamoli sempre. Ma troviamone: saranno, come Carlo Maria Martini, termini di paragone e punti di riferimento nel momento delle scelte. L’alternativa è seguire tutti i venti, ma non è un buon modo di navigare la vita.
Beppe Severgnini - Corsera
 
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postato da  Claudio Maffei alle  09:36 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



20 Lug 2012
Discorso di Gandhi sulla rabbia
Un giorno, un pensatore indiano, pose la seguente domanda ai suoi discepoli:
“Perchè le persone gridano quando sono arrabbiate?”
“Gridano perchè perdono la calma”, rispose uno di loro.
“Perchè gridare, se la persona sta proprio vicina?”, chiese di nuovo.
“Bene, gridiamo perchè desideriamo che l’altra persona ci ascolti!”, rispose un altro discepolo.
E il maestro tornò a domandare: “Allora non è possibile parlarle a voce bassa?”. Varie altre risposte furono date, ma nessuna convinse il maestro. Allora egli esclamò: “Volete sapere perchè si grida contro l’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate, i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza, bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte grideranno per potersi ascoltare. D’altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente.. e perchè? Perchè i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori, che neanche parlano, solamente sussurrano. E quando l’amore è più intenso, non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E’ questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano”.
Infine il pensatore concluse dicendo: “Quando voi discuterete, non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perchè arriverà il giorno in cui la distanza sarà così tanta che potrebberonon incontrare più la strada per tornare”

Mahatma Gandhi
 
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postato da  Claudio Maffei alle  18:48 | aggiungi commento | commenti presenti [1]



7 Lug 2012
Una pillola per la felicità
Il nostro organismo funziona meglio se sul nostro viso c’è un sorriso piuttosto che un’espressione scoraggiata e smorta. Anche se a volte è difficile mantenere la serenità, vessati dalle difficoltà quotidiane, dobbiamo anche capire che è prioritario. Investire nella nostra felicità, in attività divertenti, leggere, nello svago, distrarsi, ridere, uscire con degli amici, fare l’amore, amare, scherzare, guardare un bel film, rilassarsi, fare due passi in un parco, ascoltare musica non sono azioni da considerare meno importanti del lavoro, degli impegni, dei doveri.
Abbiamo parlato spesso di come autocontrollo, forza di volontà, spirito di sacrificio aumentino quando il nostro cervello sa che ad aspettarlo c’è una ricompensa, qualcosa che ripagherà della privazione. Sottrarre queste boccate di ossigeno alla nostra mente significa rompere l’equilibrio tra quello che dobbiamo alla vita e quello che la vita ci deve.
E’ proprio nei momenti in cui l’umore è più a terra, spesso cosa facciamo? Ci puniamo continuando a stressarci, ad impensierirci, a rimuginare su un problema, a chiuderci in noi stessi, allontanandoci dalla soluzione del nostro malessere. Quando il nostro stato d’animo non è dei migliori bisogna al contrario risollevarlo concedendosi spazio da destinare alle nostre attività preferite o comunque a qualcosa di rilassante, distensivo, qualcosa che ci faccia sorridere di nuovo.
Il sorriso, in questi momenti, va quasi prescritto, come una medicina. Se abbiamo mal di testa spesso ricorriamo ad un’aspirina ma quando siamo giù di corda perché ci neghiamo di staccare la spina, uscire per fare due passi e rinfrescarci le idee, chiamare un amico? Sono queste le pillole di cui abbiamo bisogno quando il nostro malessere è emotivo.
Per ritrovare il buonumore l’ideale è stilare una lista dei farmaci che più funzionano su di noi, ognuno ha i suoi. C’è chi sorride giocando con il cane, chi ama camminare fin quando la mente non è sgombra dai brutti pensieri, chi diventa allegro al profumo ed alla vista dei fiori o gustando una cioccolata calda. Rimedi naturali e semplici per recuperare il sorriso perduto.
iovalgo.com
 
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postato da  Claudio Maffei alle  15:11 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



27 Giu 2012
Una lira da scordare
Mettonotenerezza i cittadini che chiedono la rottamazione dell’euro e il ritorno alla vecchia moneta. Non rimpiangono la lira, ma il tempo della lira. Quando le famiglie risparmiavano ancora, l’economia cresceva poco ma cresceva, e la svalutazione gonfiava gli affari. Fare un mutuo costava il doppio di adesso e l’inflazione viaggiava a due cifre, però i cinesi stavano dietro la Muraglia, gli slavi ansimavano dietro il Muro e i brasiliani e gli indiani esportavano solo miseria. Il mondo era un posto relativamente piccolo e ordinato che coincideva con l’Occidente. Ma se oggi tornasse la lira, di quel tempo tornerebbe soltanto lei. Insieme con l’inflazione a due cifre. I cinesi non andrebbero certo indietro, e nemmeno i brasiliani. In compenso noi andremmo al supermercato con la carriola: non per infilarci la spesa ma i soldi necessari a comprarla. Una pila di cartaccia che della vecchia lira conserverebbe soltanto il nome. Secondo i calcoli più ottimistici perderemmo in un giorno il 30 per cento del valore di tutto ciò che ci resta, diventando la replica della Germania di Weimar che fece da culla al nazismo.

Mettono tenerezza i cittadini spaventati dal futuro, quando si aggrappano a un passato che non può tornare. Mentre provocano soltanto rabbia quei politici che queste cose le sanno benissimo, ma preferiscono lisciare il pelo del popolo impaurito invece di guardarlo negli occhi e dirgli parole adulte: che chi perde la strada deve resistere alla tentazione di tornare indietro, perché solo andando avanti troverà il sentiero che lo riporterà sulla strada perduta.
Massimo Gramellini-La Stampa
 
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postato da  Claudio Maffei alle  09:45 | aggiungi commento | commenti presenti [0]



17 Giu 2012
Dedicato alle donne
Un mattino un uomo torna dopo molte ore di pesca e decide di fare un sonnellino.

Anche se non pratica del lago, la moglie decide di uscire in barca. Accende il motore e si spinge a una piccola distanza: spegne, butta l’ancora e si mette a leggere.

Arriva una guardia forestale in barca, si avvicina e le dice:

“ Buongiorno, signora. Cosa sta facendo?”.

“Sto leggendo un libro” risponde lei (pensando:”non è forse ovvio?”).

“Lei si trova in una zona di pesca vietata” ribatte la guardia.

“Mi dispiace, agente, ma non sto pescando. Sto leggendo.”

“ Si, ma ha tutta l’attrezzatura. Per quanto ne so potrebbe cominciare in qualsiasi momento. Devo portarla con me e fare rapporto.”

“Se lo fa, agente, dovrò denunciarla per molestia sessuale” dice la donna.

“Ma se non l’ho nemmeno toccata!” protesta la guardia forestale.

“Questo è vero, ma possiede tutta l’attrezzatura. Per quanto ne so potrebbe cominciare in qualsiasi momento.”

“ Le auguro buona giornata, signora” e la guardia se ne va.



Morale: mai discutere con una donna che legge, è probabile che sappia anche pensare.



Storia raccontata da Don Andrea Gallo
 
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